La disciplina e la gestione dei rapporti di lavoro nell’ambito della mobilità transnazionale hanno subito numerosi cambiamenti nel corso del tempo: a partire dall’introduzione della Direttiva 96/71 sul distacco, alla successiva Direttiva 67/2014 (“di implementazione”), fino alle conseguenze della Brexit.
Questo articolo ricostruisce lo stato attuale del quadro normativo sulla mobilità transnazionale. Verranno analizzati:
- le fattispecie di mobilità estera e la loro regolazione;
- l’impatto della Brexit; e
- le principali problematiche riscontrate sull’applicazione della normativa.
Le fattispecie di mobilità estera e la loro regolazione
Sono diverse le principali forme che può assumere la mobilità internazionale dei lavoratori all’interno dell’ordinamento giuslavoristico italiano:
- La trasferta estera;
- Il trasferimento;
- Il distacco transnazionale;
- L’assunzione all’estero;
- La somministrazione di personale.
Le fonti normative sul distacco transnazionale
In particolare, il distacco transnazionale dei lavoratori è regolato a livello europeo da 3 fonti normative principali:
- Il Regolamento Roma I: definisce la legge applicabile ai contratti di assunzione. Introduce un sistema protettivo del lavoratore in qualsiasi circostanza. Lo stesso è derivato dalla legge dello Stato nel quale il lavoratore risiede e opera normalmente.
- La Direttiva 96/71: ha un orientamento finalizzato al coordinamento e alla garanzia dei diritti dei lavoratori. Introduce importanti strumenti per la loro tutela e protezione e impone il rispetto delle condizioni di maggior favore per il lavoratore, come strumento di lotta alle pratiche di dumping sociale intraeuropeo.
- La Direttiva 2014/67: detta anche direttiva di applicazione, ha introdotto i primi strumenti per l’implementazione della Direttiva 96/71. Tra questi, introduce l’insieme degli obblighi amministrativi in capo alle aziende distaccanti e altre misure atte a garantire la genuinità dei distacchi.
Campo di applicazione del distacco transnazionale
Come enunciato dall’art. 1 della direttiva 96/71/CE, la normativa in materia di prestazione transnazionale di servizi, che include la direttiva già citata e le successive 67/2014/UE e 957/2018/UE, si applica nel caso in cui un’impresa con sede in uno Stato Membro invia uno o più lavoratori in favore di un’altra impresa con sede in un altro Stato Membro.
In particolare, il comma 3 definisce più dettagliatamente il campo di applicazione, che coinvolge le imprese che:
“a) distacchino un lavoratore, per conto proprio e sotto la loro direzione, nel territorio di uno Stato membro, nell’ambito di un contratto concluso tra l’impresa che lo invia e il destinatario della prestazione di servizi che opera in tale Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia; o
b) distacchino un lavoratore nel territorio di uno Stato membro, in uno stabilimento o in un’impresa appartenente al gruppo, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia; o
c) distacchino, in quanto imprese di lavoro temporaneo o in quanto imprese che effettuano la cessione temporanea di lavoratori, un lavoratore presso un’impresa utilizzatrice avente la sede o un centro di attività nel territorio di uno Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro fra il lavoratore e l’impresa di lavoro temporaneo o l’impresa che lo cede temporaneamente.”
Per una panoramica completa delle direttive in materia di distacco transnazionale, leggi la nostra guida completa sulle direttive UE sul distacco.
Definizione di lavoratore distaccato
Dalla definizione del campo di applicazione emerge che il prerequisito principale per il distacco transnazionale sia l’esistenza di un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia. Non solo, l’art. 2 della stessa direttiva specifica che l’invio del lavoratore presso un’azienda di un altro Stato membro deve avvenire per un periodo limitato.
Ne consegue che il lavoratore non possa essere assunto con il solo scopo dell’invio in trasferta. In aggiunta, il dipendente dovrà quindi riprendere l’attività lavorativa abituale nello Stato in cui è assunto, al termine della missione.
La Direttiva 2014/67, “di attuazione” della Direttiva 96/71
L’obiettivo della Direttiva 2014/67/UE è di promuovere l’applicazione e l’attuazione della Direttiva 96/71/CE, che tutela i lavoratori inviati all’estero nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale.
La Direttiva sancisce una serie di obblighi amministrativi in capo alle aziende distaccanti, tra cui:
- Presentazione di una dichiarazione di distacco alle autorità competenti secondo le scadenze dettate da ciascuno Stato membro;
- Obbligo di conservazione della documentazione in un luogo accessibile e nel territorio dello Stato ospitante;
- Obbligo di archiviazione della documentazione per minimo 2 anni dopo la fine del distacco;
- Designazione di una persona di contatto che, in alcuni casi, dovrà essere domiciliata nel Paese ospitante.
La Direttiva 2014/67 prevede inoltre l’implementazione di misure di controllo da parte delle autorità ispettive di ciascun Stato membro. L’obiettivo è quello di evitare il fenomeno del dumping sociale e garantire tutele adeguate ai lavoratori distaccati. Particolare attenzione è posta sul tema della divergenza salariale.
Genuinità del distacco transnazionale
Al fine di prevenire abusi o elusioni al rispetto degli obblighi, è necessario dunque verificare che la fattispecie di distacco transnazionale sia autentica e che siano rispettati i presupposti richiesti.
Gli organi di vigilanza possono quindi effettuare un controllo ispettivo al fine di verificare che:
- L’azienda distaccante sia effettivamente stabilita nello Stato membro in cui ha sede. Non deve essere svolta mera attività di amministrazione.
- L’invio del/i lavoratore/i sia svolto per un periodo limitato.
- Avvenga la ripresa dell’abituale attività lavorativa nello stato di assunzione.
Come verificare l’autenticità di un distacco transnazionale
Al fine di valutare le condizioni di cui sopra, le autorità possono richiedere la valutazione dei seguenti elementi:
- il luogo in cui l’impresa è registrata alla CCIAA. In alternativa, ove sia richiesto in ragione dell’attività svolta, ad un albo professionale;
- la disciplina applicabile ai contratti conclusi dall’impresa distaccante con i suoi clienti e con i suoi lavoratori;
- il numero dei contratti eseguiti o l’ammontare del fatturato realizzato dall’impresa nello Stato membro di stabilimento. Per il calcolo bisognerà tenere conto della specificità delle piccole e medie imprese e di quelle di nuova costituzione;
- il contenuto, la natura e le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e la retribuzione di ciascun lavoratore;
- la temporaneità dell’attività lavorativa svolta da ciascun lavoratore presso lo Stato estero;
- l’esistenza del certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile al singolo lavoratore distaccato (Mod. A1).
L’impatto della Brexit sulla disciplina in materia di mobilità transnazionale dei lavoratori
In seguito alla Brexit, le procedure e gli obblighi in capo alle aziende distaccanti hanno subito importanti cambiamenti per quanto riguarda l’invio di personale nel Regno Unito e le opzioni a disposizione.
Tuttavia, ci sono alcune aree normative che rimangono tuttora in vigore:
- Legge sull’immigrazione;
- Diritto del lavoro;
- Condizioni di sicurezza sul lavoro e di previdenza sociale.
Le nuove condizioni per trasferte nel Regno Unito
Sebbene i cittadini europei siano esenti dall’obbligo di richiesta di visto per l’ingresso, per le trasferte brevi e per lo svolgimento di determinate attività (legate alla fornitura di beni quali l’installazione post-vendita) è importante ricordare che si tratta di una concessione legata alla temporaneità della permanenza. Infatti, l’esenzione non è valida per periodi superiori a 6 mesi.
Per sapere quale visto lavorativo richiedere per svolgere una determinata attività in Regno Unito, leggi la nostra guida completa sui visti UK per lavoro.
L’esenzione dall’obbligo di richiesta del visto non esime le aziende distaccanti dall’obbligo di rispettare gli adempimenti legati a:
- condizioni minime lavorative;
- condizioni minime salariali; e
- rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro.
Quest’ultima sfera normativa potrebbe rappresentare un ostacolo per le aziende che intendono operare in UK. Infatti, il Regno Unito prevede provvedimenti e strumenti di verifica delle competenze specifici, come nel caso degli attestati di formazione e di altri provvedimenti analoghi.
Per quanto riguarda l’area relativa alla Sicurezza Sociale dei lavoratori, il Trade and Cooperation Agreement ha mantenuto, per gli Stati firmatari, i punti cardine della normativa europea vigente, introducendo alcune limitazioni, come la durata massima della copertura sociale ai sensi del Reg. 883/2004 art. 12 e art. 13.
Maggiori informazioni nella nostra guida completa sulla Sicurezza Sociale in Regno Unito.
European Labour Authority: uno sguardo interno alle problematiche della mobilità
L’ELA (European Labour Authority) si occupa di garantire che le norme UE sulla mobilità del lavoro siano applicate in modo equo ed efficace, facilitando la cooperazione tra gli Stati membri.
Allo stato attuale, le principali problematiche riscontrate dall’autorità riguardano:
- lo scambio di informazioni tra gli Stati membri;
- la mancanza di mediazione e di meccanismi per favorire il rispetto degli obblighi amministrativi.
La proposta di ELA in questo senso è di implementare un hub apposito all’interno del loro sito ufficiale per unificare le informazioni richieste per la notifica di distacco. Questo permetterebbe di armonizzarne la procedura per tutti gli Stati Membri. Inoltre, faciliterebbe l’accesso, lo scambio di informazioni ed anche la gestione della mediazione di conflitti tra gli Stati Membri.