L’istituto del trust ha acquisito piena operatività in Italia a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja sui trust (1° luglio 1985), avvenuta con Legge 16 Otttobre 1989, n. 364, entrata in vigore a partire del 1° gennaio 1992. L’art. 2, comma 1 della stessa definisce il trust come “un rapporto giuridico istituito da una persona, il costituente (mediante atto tra vivi o mortis causa) qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”.
Tuttavia, gran parte della disciplina applicabile in ambito interno è frutto dell’elaborazione dell’Agenzia delle Entrate, mediante apposite circolari e risposte a interpelli. Difatti, la presente analisi si concentra sulla Risposta all’interpello n. 239 del 2025, con cui l’Agenzia si è espressa in merito alla qualificazione di un trust di diritto statunitense, i cui beneficiari sono residenti in Italia.
Il caso in oggetto
Per comprendere il contenuto della pronuncia, è utile riepilogare brevemente i principali elementi dell’istanza. Il trust in questione era stato istituito nello Stato della California da un disponente che rivestiva contemporaneamente i ruoli di primo beneficiario e di primo trustee. L’atto istitutivo gli attribuiva inoltre un potere discrezionale di modifica e revoca del trust, esercitabile fino al momento della sua morte. In base alla normativa statunitense, fino al decesso del disponente, il trust era qualificabile come “Grantor Trust”, con conseguente imputazione diretta dei redditi al disponente stesso (Modello 1040). Tali caratteristiche, secondo i principi sia italiani che statunitensi, determinavano la qualificazione del trust come interposto ai fini fiscali.
Alla morte del disponente, il trust ha modificato la propria natura giuridica, divenendo un “Non-Grantor Trust”, ossia un trust fiscalmente opaco secondo la normativa statunitense. A seguito di tale evento:
- il trust è diventato irrevocabile e immodificabile;
- sono cambiati i beneficiari;
- è stato nominato un nuovo trustee, che figura anche tra i beneficiari finali.
Gli istanti, nonché beneficiari residenti in Italia, autori dell’interpello, vantano un diritto sull’84% del fondo in trust, da dividersi in parti uguali al momento della liquidazione del patrimonio da parte del nuovo trustee.
In tale contesto e ai fini dell’individuazione del regime impositivo italiano, gli istanti chiedono con interpello la qualificazione del Trust come opaco, trasparente o interposto, con riferimento al periodo successivo al decesso del Disponente.
La risposta all’interpello
La Legge Finanziaria 2007 (L. 296/2006) ha inserito i trust tra i soggetti passivi IRES, modificando l’art. 73 del TUIR e introducendo criteri specifici per determinarne la residenza fiscale. Ai fini delle imposte dirette, il TUIR distingue tre categorie di trust:
- “trust opaco”, senza beneficiari individuati, il cui reddito è tassato direttamente in capo al trust.
- “trust interposto”, risulta inesistente ai fini fiscali. Questo accade quando il trust non ha una reale autonomia gestionale, ma è solo un veicolo per mantenere il controllo del patrimonio nelle mani del disponente, il trustee opera sotto le direttive del disponente o dei beneficiari e i beni del trust non sono separati chiaramente dal patrimonio del disponente
- “trust trasparente”, con beneficiari individuati, il cui reddito viene tassato direttamente in capo ai beneficiari,
Nel caso oggetto dell’interpello, l’Agenzia esclude la natura opaca del trust. Difatti, a seguito del decesso del disponente, i beneficiari risultano chiaramente individuati e titolari di un diritto percentuale definito sul patrimonio e sui redditi del trust. L’unico margine di discrezionalità rimasto al trustee riguarda il momento della distribuzione, non l’an né il quantum delle attribuzioni, che sono predeterminati.
Per quanto riguarda l’ipotesi di trust interposto, l’Agenzia rileva che, a seguito della morte del disponente:
- il trust è divenuto “non-grantor trust”;
- il trust ha assunto carattere irrevocabile e immodificabile;
- inoltre, è stato nominato un trustee che è anche beneficiario; tuttavia, gli istanti hanno dimostrato che non hanno alcun rapporto né di parentela, né di amicizia, né tantomeno di natura professionale con il trustee.
- gli istanti non esercitano alcuna forma di “ingerenza nella gestione del Trust”.
Questi elementi hanno portano l’Agenzia a ritenere che il trust non possa essere considerato interposto rispetto a questi ultimi ai fini fiscali italiani. I criteri adottati nel caso specifico rappresentano strumenti utili da considerare nella redazione dell’atto istitutivo del trust, al fine di definire correttamente il regime impositivo applicabile. È prevedibile che l’Agenzia delle Entrate si avvalga degli stessi criteri anche per dirimere eventuali dubbi interpretativi in casi analoghi.
Infine, secondo l’Agenzia, sono risultati soddisfatti i requisiti del trust trasparente ai sensi dell’art. 73, c. 2, TUIR. I beneficiari sono identificati, ovvero esprimono, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale. Sono titolari, dunque, di un diritto attuale a ricevere redditi. I beneficiari risultano titolari del diritto di pretendere dal trustee il pagamento di quella parte di reddito che gli viene imputata.
La tassazione avviene dunque in Italia per i beneficiari residenti, indipendentemente dalla localizzazione del reddito.
Criticità del nuovo orientamento
Alcuni studiosi ritengono tuttavia che la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate sia discutibile, poiché, nel caso di specie, non risulterebbe soddisfatta la condizione necessaria per l’imputazione per trasparenza del reddito. Affinché tale imputazione sia possibile, infatti, il reddito deve essere immediatamente, originariamente e incondizionatamente riferibile ai beneficiari, in modo tale che questi ultimi possano ottenerne l’attribuzione automatica e diretta man mano che esso matura.
Nel caso in esame, tale condizione non risulta rispettata. Infatti, nella lettera inviata ai Beneficiari dal Trustee, si evince che “l’amministrazione del fondo richiederà molti mesi, poiché il disponente possedeva diverse proprietà immobiliari e investimenti”.
In virtù di ciò, il trust in questione non può essere qualificato come “trasparente”, bensì come “opaco” ai sensi della normativa italiana, in quanto il trustee dispone del potere discrezionale di accumulare il reddito e posticiparne la distribuzione ai beneficiari. È infatti sufficiente la sola presenza di un potere discrezionale in capo al trustee per determinare la natura fiscalmente opaca del trust, come già chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 425/E del 5 novembre 2008.
Tale impostazione risulta coerente anche sotto il profilo dell’equità fiscale, poiché evita che il beneficiario debba anticipare il pagamento delle imposte su redditi che non ha un diritto attuale a percepire. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrata ha prediletto altri criteri, dimostrando ancora una volta che ogni trust merita di un’attenta analisi al fine di una corretta qualificazione giuridica e della conseguente individuazione del regime impositivo applicabile nel nostro ordinamento.