Richiamando il proprio consolidato orientamento sul tema (cfr., ex multis, Cass. Ord. n. 1534/2025; Cass. Ord. n. 34655/2024), la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23526/2025 ha ammesso il rimborso delle maggiori imposte versate da un contribuente in possesso dei requisiti per l’applicazione dei benefici del c.d. regime impatriati pur in assenza dell’apposita istanza presentata al datore di lavoro e indicazione – in sede di dichiarazione dei redditi – dell’imponibile ridotto.
La vicenda
L’istante, ritenendosi in possesso dei requisiti per l’applicazione dei benefici del regime impatriati, aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate il rimborso della maggiore IRPEF (e delle relative addizionali) versate per l’anno 2018.
Nel far ciò, tuttavia, il contribuente non aveva chiesto al proprio datore di lavoro di calcolare le ritenute per ottenere le agevolazioni previste dal regime speciale né tantomeno aveva optato – in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi – per il regime impatriati.
A tale domanda, l’Amministrazione Finanziaria opponeva un silenzio-rifiuto impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale (di seguito, CTR) che, accogliendo il ricorso, annullava il diniego dell’amministrazione negando che la mancata richiesta al dator e di lavoro potesse costituire causa di decadenza dal diritto al rimborso, ordinandole di provvedere allo stesso. Tale decisione veniva confermata dalla CGT di secondo grado, avverso la quale l’Agenzia delle Entrate ricorreva per Cassazione presentando un solo motivo di impugnazione.
Le norme invocate
Perno di tutta la vicenda nonché oggetto di contrasto è la disciplina ex art 16 d.lgs. n. 147/2015, nella versione in vigore precedentemente alle intervenute modifiche del d.l. 34/2019.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, gli adempimenti finalizzati ad ottenere l’applicazione delle agevolazioni ivi previste erano “non altrimenti surrogabili” alla luce della natura agevolativa – ergo eccezionale – della disposizione in parola.
Nel 2019, l’art. 16 del decreto suddetto veniva integrato dal comma 5-ter introdotto dal d.l. 34/2019 che stabilisce il divieto di rimborso delle somme versate in adempimento spontaneo dal lavoratore nell’ambito del c.d. regime impatriati.
Come si deduce dalla lettera del comma 2 dell’art. 5, tuttavia, tale divieto di rimborso non opera retroattivamente valendo meramente ex nunc – dal 1° maggio 2019 – in mancanza di diversa statuizione legislativa.
La possibilità, riconosciuta al contribuente, di presentare personalmente richiesta di rimborso, tuttavia, era già stata affermata dalla stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare 14/E/2012 (par. 2.2) e ribadita nella Circolare 17/E/2017, e a tali principi si era attenuta la decisione impugnata dall’Amministrazione finanziaria nel presente ricorso per Cassazione.
Correttamente, infatti, i giudici regionali avevano affermato che “la decadenza dall’agevolazione per la mancata richiesta al datore di lavoro non è prevista da alcuna norma, né può farsi riferimento, all’art. 16 comma 5-ter del d.lgs. 147/2015”, il quale prevede che “non si fa luogo in ogni caso al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo, in quanto esso è stato inserito con una modifica successiva (D.L. 34/2019)”.
Pertanto, ratione temporis, non si può applicare al caso in esame il divieto di rimborso.
In definitiva, per i periodi di imposta precedenti al 1° maggio 2019, è ammissibile la presentazione dell’istanza di rimborso per le maggiori imposte versate rispetto al regime agevolato degli impatriati, anche in mancanza di apposita istanza al datore di lavoro o indicazione in dichiarazione dei redditi dell’imponibile ridotto.
Al contrario, per i periodi d’imposta successivi al 1° maggio 2019, e cioè dopo l’entrata in vigore del comma 5-ter dell’art. 16, i lavoratori che adempiono spontaneamente all’obbligo tributario in misura superiore al quantum dovuto, non possono ottenere il rimborso dell’eccedente se non nelle forme di legge.