Con la Risposta n. 199/2025 l’Amministrazione finanziaria, come chiaramente enunciato, ha rettificato il precedente parere n. 81/2025 reso dalla stessa sulla tassazione di bonus rientranti in un piano di incentivazione e delle relative ritenute, in considerazione dell’avvenuto cambio di residenza fiscale del soggetto percettore.
Il quesito oggetto della rettifica è quello esposto da una società di diritto tedesco con stabile organizzazione in Italia, facente parte di un gruppo multinazionale. Alcuni dipendenti di detta società, in considerazione della preminente importanza rivestita dagli stessi nello sviluppo aziendale, erano stati ammessi, nel 2021, a partecipare ad un piano di incentivazione (“Long Term Cash Bonus Plan”) sulla base del quale, al termine di ogni periodo di maturazione (il c.d. Vesting period), si sarebbero visti riconoscere l’attribuzione di un premio.
Lo snodo fondamentale della questione prende le mosse da un caso specifico tra i vari dipendenti considerati, ovvero sia quello di un dipendente che durante il Vesting period ha svolto la propria attività lavorativa nel Regno Unito alle dipendenze della società tedesca, salvo poi interrompere tale rapporto per intraprendere, a partire dal 18 dicembre 2023, un nuovo rapporto di lavoro presso la stabile organizzazione italiana (l’Istante), dunque all’interno del medesimo gruppo ma con susseguente mutamento di residenza fiscale.
Il quesito riguarda in particolare le ritenute su tali remunerazioni che, a far tempo da tale data, sono state effettuate dal sostituto d’imposta italiano ai sensi della normativa nazionale.
A livello domestico, infatti, le disposizioni che vengono in considerazione sono:
- art. 2 TUIR, in tema di residenza fiscale;
- art. 23 TUIR, sull’applicazione dell’imposta ai non residenti;
- art. 51 TUIR, determinazione del reddito di lavoro dipendente;
- art. 23 DPR n. 600/1973 (odierno art. 33 del d.lgs. n. 33/2025) sulla ritenuta sui redditi di lavoro dipendente.
In particolare, nella prima soluzione prospettata dall’Istante (la stabile organizzazione italiana) si prospettava la possibilità che il dipendente, avendo subito una doppia imposizione tra Italia e Regno Unito, potesse beneficiare, nel nuovo paese di residenza (l’Italia) del credito d’imposta ex art. 165, comma 1 TUIR, previsto per le imposte pagate all’estero.
Tuttavia, nella iniziale risposta al quesito l’Agenzia aveva chiarito che la tassazione dei diversi Bonus andava diversificata a seconda del periodo considerato, e in particolare:
- per il Bonus erogato nel 2024 dalla società britannica e relativo al rapporto di lavoro intercorso con la stessa fino alla data di interruzione, questo doveva essere tassato esclusivamente nel Regno Unito, mancando qualsivoglia tipo di collegamento con il territorio italiano. Il contribuente doveva assolvere ad un obbligo dichiarativo in Italia, invece, esclusivamente per la quota attribuibile all’attività lavorativa svolta nel Paese;
- per i Bonus erogati nel 2025 e 2026, invece, maturati in periodi diversi tra loro, ai fini della tassazione si rendeva necessaria una distinzione proporzionale all’attività svolta durante il Vesting period nei due Paesi: in Italia i Bonus soggetti a tassazione sarebbero stati quelli maturati con riferimento all’attività lavorativa svolta nel Paese, e lo stesso poteva dirsi per la quota parte imponibile nel Regno Unito;
- per i Bonus erogati nel 2027, infine, dal momento che sarebbero stati riferibili ad attività lavorativa svolta esclusivamente in Italia, sarebbero stati assoggetti interamente a tassazione secondo le norme italiane.
Facendo riferimento al quadro normativo italiano e in particolare all’art. 51 TUIR, l’Amministrazione riteneva che i bonus corrisposti a dipendenti in forza di piani di incentivazioni facessero parte dei redditi di lavoro dipendente e dunque soggiacessero a tassazione, secondo la relativa disciplina, nel periodo di effettiva percezione.
Il confronto con le disposizioni internazionali, tuttavia, avuto riguardo alla prevalenza del diritto convenzionale su quello interno, presuppone l’analisi della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Regno Unito nel 1988, laddove all’art. 15 si stabilisce, quale regola generale, la tassazione esclusiva dello Stato di residenza del contribuente laddove coincidente con quello della fonte, e, come eccezione a tale principio, la tassazione concorrente tra i due Stati in caso di non coincidenza tra gli stessi.
Il Commentario all’art. 15, comma 1 del Modello di Convenzione OCSE, poi, specifica che nella determinazione della potestà impositiva dello Stato della fonte ciò che rileva non è il momento di percezione del reddito corrisposto, quanto piuttosto il collegamento tra l’attività svolta e lo Stato in questione – ancora più specificamente, con riferimento al caso di specie, il successivo paragrafo 2.4 precisa che per ogni remunerazione pagata dopo la cessazione del rapporto di lavoro si considera Stato della fonte quello in cui detta attività è stata effettivamente svolta – l’imposizione, dunque, avrebbe avuto luogo esclusivamente sulle somme relativamente alle quali fosse riscontrabile un qualche tipo di collegamento con il territorio dello Stato italiano. Nel primo parere dell’Agenzia, quindi, per tutte le ritenute indebitamente effettuate dalla stabile organizzazione italiana il contribuente avrebbe potuto presentare istanza di rimborso ex art. 38 DPR n. 602/1973.
Senonchè, con un revirement difforme rispetto all’orientamento convenzionale, la stessa Amministrazione finanziaria ha modificato la soluzione prospettata per la risoluzione del dubbio interpretativo in esame.
Più specificatamente, nella puntuale analisi del quadro normativo l’Agenzia fa ora riferimento, accanto alle medesime disposizioni succitate, al paragrafo 2.3 del Commentario OCSE all’art. 15, laddove si “valorizza la connessione tra le remunerazioni, comunque definite, e lo svolgimento dell’attività lavorativa”, prescindendo dal momento di effettiva percezione del reddito da parte del lavoratore dipendente. L’onere di eliminare l’eventuale doppia imposizione venutasi a creare, poi, sarà in capo allo Stato di residenza.
A differenza del precedente orientamento, dunque, si afferma il diritto dello Stato italiano, in qualità di Stato di residenza, a tassare le remunerazioni percepite nei periodi d’imposta in cui il soggetto risulti residente fiscalmente nel Paese e, di conseguenza, l’applicabilità della ritenuta sulle stesse da parte della stabile organizzazione italiana – tali ritenute, quindi, dovranno essere effettuate tanto sui Bonus erogati dalla società estera, quanto su quelli corrisposti dalla stabile organizzazione in Italia, salvo poi la possibilità per il dipendente di usufruire, per i redditi prodotti all’estero, del credito d’imposta di cui all’art. 165 TUIR.
Viene inoltre specificato che, qualora la stabile organizzazione italiana, seguendo le indicazioni della precedente Risposta n. 81/2025 non avesse effettuato il versamento delle ritenute relative all’attività lavorativa svolta nel Regno Unito, la stessa debba procedere ad effettuare tali ritenute e ad assolvere i relativi obblighi di versamento e certificazione, senza tuttavia procedere con l’applicazione di sanzioni e interessi, così come stabilito dall’art. 10 dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000).