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La residenza fiscale delle persone giuridiche in Italia  

La disciplina della residenza fiscale delle persone giuridiche in Italia è stata recentemente modificata ad opera del d.lgs. n. 209/2023. Le novità introdotte riguardano i criteri di collegamento, previsti come alternativi, per l'attribuzione dello status di residente.

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La residenza fiscale è lo status giuridico che individua la giurisdizione in cui un contribuente è tenuto ad assolvere all’obbligazione tributaria. Tale nozione non è unitaria ma ciascun Stato ne definisce i contorni in base alle proprie regole di diritto. Secondo la giurisdizione italiana, la determinazione della residenza fiscale in Italia o all’estero è essenziale per definire il regime tributario a cui è sottoposto il soggetto passivo Ires.  

Ai sensi dell’art. 73, comma 1 TUIR, tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società vengono ricompresi anche le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato. 

Ciò che rileva, dunque, è la fondamentale nozione di residenza fiscale, la quale si trova all’interno degli art. 5 comma 3 lett. d) (per le società di persone e le associazioni) e dell’art. 73 comma 3 (per le società di capitali ed enti assimilati) del TUIR, oggetto di recenti modifiche apportate dal d.lgs. 209/2023

Nel prosieguo si farà riferimento ai soli criteri di residenza fiscale dettati dall’art. 73 comma 3, considerato che essi coincidono, sul piano formale e sostanziale, con quelli previsti per le società di persone ex art. 5. Ciononostante, tutte le considerazioni si ritengono applicabili anche alle società di persone, ai sensi dell’art. 5 comma 3 lett. d). 

Come si determina la residenza fiscale ex art. 73 comma 3 TUIR  

Ai sensi dell’originario art. 73 comma 3, si considerano residenti in Italia le persone giuridiche che “per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”. 

L’articolo è stato completamente rivisto a seguito dell’intervento riformatore del d.lgs. 209/2023. A partire dal 1.01.2024, si considerano residenti le persone giuridiche che per la maggior parte del periodo di imposta (183 o 184 giorni in caso di anno bisestile) hanno nel territorio dello Stato: 

  1. la sede legale; 
  1. la sede di direzione effettiva;  
  1. la gestione ordinaria in via principale.  

Chiare sono le differenze rispetto alla versione precedente alla riforma: sono stati eliminati i riferimenti alla sede dell’amministrazione e all’oggetto principale, sostituiti — seguendo la prassi internazionale — dai criteri della direzione effettiva e della gestione ordinaria in via principale.  

I tre criteri di collegamento territoriale sono alternativi. Ciò significa che condizione necessaria e sufficiente affinché una società o un ente assimilato sia considerata fiscalmente residente in Italia è la sussistenza di anche una sola delle tre condizioni. Al contrario, si considerano fiscalmente non residenti coloro che non soddisfano nessuna delle suddette condizioni1). 

Le condizioni devono protrarsi per la maggior parte del periodo d’imposta che, per le persone giuridiche, corrisponde all’esercizio sociale (art. 76 TUIR). Quest’ultimo, di norma, coincide con l’anno solare ma può anche essere superiore. Qualora il periodo di imposta non sia determinato dalla legge o dall’atto costitutivo, o se è fissato in due o più anni, l’imposta è dovuta per ciascun anno solare. 

Le nuove regole in materia di residenza fiscale delle società hanno efficacia decorrente dal 1.01.2024 (cfr. articoli 7, comma 2, e 63 del d.lgs 209/2023). Per le società o gli enti con esercizio non coincidente con l’anno solare, la nuova determinazione della residenza è efficace dal periodo successivo a quello in corso al 29 dicembre 2023, continuando ad operare la disciplina previgente per il periodo d’imposta in corso. 

La sede legale 

Il criterio della sede legale è l’unico rimasto invariato dopo la riforma ed il solo ad avere carattere formale. Poiché non esiste una nozione tributaria di sede legale, per la sua definizione, è necessario un rinvio alle norme civilistiche.  

Ai sensi dell’art. 46 c.c., la residenza delle persone giuridiche è: 

“[…] il luogo in cui è stabilita la loro sede. Nei casi in cui la sede stabilita ai sensi dell’art. 16 o la sede risultante dal registro è diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima.” 

Ne deriva che la sede legale è quella indicata convenzionalmente nell’atto costitutivo o nello statuto ed in seguito annotata nell’apposito registro, ai sensi dell’art. 16 c.c. Essa corrisponde, di fatto, alla nozione di residenza o domicilio per le persone fisiche.  

Il comma 2 dell’art. 46 disciplina i casi in cui la sede legale è distinta dalla sede effettiva, intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente (cfr. Cass. civ., Sez. I, 18/01/1997, n. 497 e Cass. civ., Sez. VI – 3, Ordinanza, 28/01/2014, n. 1813). In presenza di tale dissociazione, si applica un criterio sostanziale che attribuisce prevalenza alla sede effettiva rispetto alla sede legale, tutelando il legittimo affidamento dei terzi. La sede legale rimane in ogni caso opponibile, purché si dimostri che i terzi ne erano a conoscenza.  

Si può dunque concludere che, in base al primo presupposto di cui all’art. 73 comma 3, sono considerate residenti le persone giuridiche che hanno in Italia la sede legale, da intendersi quale quella risultante dall’atto costitutivo o dallo statuto. 

La direzione effettiva  

Il secondo criterio di collegamento tra persona giuridica e stato ha carattere sostanziale ed è andato a sostituire il precedente requisito della “sede di amministrazione”, spesso oggetto di dubbi interpretativi.  

L’introduzione di questa novità pone le radici nell’esigenza di armonizzare la disciplina domestica della residenza fiscale con le convenzioni internazionali. Ciò è ribadito tanto nella Relazione illustrativa2 quanto nella giurisprudenza di legittimità. Emblematica in tal senso è Cass. civ., 02/10/2024, n. 25917: 

«Il criterio della direzione effettiva corrisponde sostanzialmente al concetto di place of management di cui all’articolo 4 del modello OCSE (che nella formulazione originaria così disponeva: for the purposes of this Convention, the term “resident of a Contracting State” means any person who, under the laws of that State, is liable to tax therein by reason of his domicile, residence, place of management or any other criterion of similar nature).» 

La sede di direzione effettiva rimanda più precisamente alla nozione di place of effective management (PoEM), così come definita ai sensi del par. 24 del Commentario all’art. 4:  

The place where the key management and commercial decisions that are necessary for the conduct of the entity’s business are in substance made”  

Dunque, il luogo di direzione effettiva è quello in cui vengono assunte le decisioni più importanti in merito alla gestione della persona giuridica e della sua attività di impresa (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 25/07/2022, n. 23150). 

Il passaggio dal criterio formale della sede di amministrazione al più sostanziale criterio della “direzione effettiva” consente di dar rilevanza al luogo in cui vengono effettivamente prese le decisioni gestionali, anziché a quello meramente dichiarato. 

Tracciare i confini di tale concetto è cruciale per determinare la residenza fiscale delle persone giuridiche che hanno sede legale in un paese, ma le decisioni operative e di gestione vengono prese in un altro.  

È lo stesso legislatore all’art. 73 comma 3 a chiarirne la portata, con il proposito di non lasciar spazio ad arbitrarie interpretazioni:  

«Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso.» 

La rilevanza è posta sul tipo di attività compiute. La locuzione “decisioni strategiche” si riferisce alle decisioni aventi contenuto gestorio adottate dagli amministratori o dai soci con poteri gestori delegati. Ne sono escluse invece:  

  • le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione 
  • le attività di supervisione 
  • le attività di monitoraggio della gestione 

Questo orientamento è confermato dalla Relazione illustrativa alla riforma fiscale, nella quale si precisa che:  

Ai fini della direzione effettiva, non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi. […] 
Le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte dei soci sono da considerarsi diverse dalla direzione effettiva e dalla gestione amministrativa corrente.”  

Con questa precisazione, il legislatore intende tracciare una netta distinzione tra le attività di gestione e di amministrazione (rientranti nella nozione di direzione effettiva) dalle attività di controllo e di supervisione (non rientranti nella nozione di direzione effettiva), per escludere una sovrapposizione tra le due. Invero, i due tipi di attività coinvolgono soggetti diversi: da una parte sono i soci amministratori o delegati a prendere le decisioni di gestione apicali, dall’altra i soci che detengono il controllo dell’ente si occupano delle attività di monitoraggio. 

La gestione ordinaria in via principale 

Il terzo e ultimo criterio di collegamento tra persona giuridica e Stato di residenza — anch’esso di carattere sostanziale — ha sostituito il precedente presupposto dell’“oggetto principale”. Tale criterio, pur condividendo con la “direzione effettiva” la sua funzione di ancorare la residenza fiscale a un legame concreto con il territorio, conserva una valenza autonoma.  

Anche in questo caso, il legislatore italiano si è allineato alla normativa sovranazionale, recependo quanto previsto al par. 24.1 del Commentario all’art. 4 OCSE, secondo cui rileva il luogo in cui si svolge la “senior day-to-day management” della persona giuridica, ossia la gestione quotidiana di carattere operativo.  

Questo orientamento è stato così recepito anche dal diritto interno, al comma 3 dell’art. 73 del TUIR: 

«Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso.» 

Rientrano in tale nozione tutte le attività connesse al normale funzionamento e all’ordinaria amministrazione della persona giuridica. Il criterio mira, dunque, a individuare il luogo in cui l’ente risulta radicato sotto il profilo operativo e organizzativo, anche in assenza della sede legale o della direzione strategica nel territorio.  

È opportuno sottolineare che esistono essenziali differenze tra la gestione ordinaria e la direzione effettiva. La prima si riferisce all’attività gestionale ordinaria a carattere operativo e organizzativo; la seconda, invece, fa riferimento al luogo in cui vengono prese le decisioni gestionali di carattere apicale e strategico, tipicamente attribuite agli organi di vertici. 

Il novellato articolo ribadisce in più punti il carattere della totalità di impresa (“in via principale” e “nel suo complesso”) e della continuità dell’attività svolta (“continua e coordinata”) al fine di delimitare e distinguere i casi di gestione ordinaria in via principale — a cui consegue il riconoscimento della residenza fiscale in Italia — dai casi di stabile organizzazione della società o ente estero. Il rinvio alla totalità della persona giuridica vuole escludere ab initio che la presenza in Italia di un ramo o parte di essa possa integrare un criterio per il riconoscimento della residenza fiscale.  
Ne derivano due importanti corollari: 

  1. una società che dispone in Italia di un ramo che svolge attività gestorie non può, per questo soltanto, considerarsi residente nel Paese ma integra esclusivamente un’ipotesi di stabile organizzazione. 
  1. una società ha residenza fiscale in Italia se, nonostante la presenza di stabilimenti all’estero, l’attività di gestione ordinaria si svolge prevalentemente nel territorio italiano 

Sebbene l’art. 73 fornisca una definizione specifica di “gestione ordinaria” allontanandola da possibili interpretazioni estensive, essa lascia ancor spazio ad un ampio spettro di circostanze. Per questo, nella Circ. 20/E del 2023, l’Agenzia delle Entrate ha stilato un elenco di elementi da valutare per la determinazione della gestione ordinaria, tra cui conformazione della struttura imprenditoriale, l’attività caratteristica, nonché l’organizzazione del complesso aziendale della società o dell’ente.  

Con particolare riferimento alla stabile organizzazione, inoltre, si segnala la definizione numero 52 dell’Allegato A al d.lgs. 209/2023 di riforma, nonchè quanto si legge nella Relazione illustrativa alla stessa con riferimento all’art. 12, comma 3 il quale chiarisce che, quando una stabile organizzazione si trova localizzata in un Paese in cui viene considerata come tale ai sensi di un Convenzione contro le doppie imposizioni e in cui le viene attribuito un reddito, tale entità deve considerarsi localizzata in quel Paese. 

In assenza di una Convenzione, invece, la stessa stabile organizzazione si assumerà localizzata nel Paese che la considera come tale ai sensi della normativa interna e che la assoggetta ad imposizione sul reddito ad essa attribuibile in base alla sua presenza commerciale sul territorio. 

Altro caso è poi quello di una stabile organizzazione localizzata in un Paese che non adotta un sistema di imposta sul reddito delle società, ma sarebbe trattata come tale sulla base della Convenzione OCSE anche a livello di imposizione fiscale – anche in tal caso, infatti, la stessa si assume situata nel Paese in cui è localizzata. 

Infine, quarta e ultima ipotesi è quella di una stabile organizzazione che non rientri nelle casistiche suddette e che eserciti un’attività d’impresa in un Paese diverso da quello in cui è localizzata la Casa madre (per tale intendendosi un’entità che include nel proprio bilancio l’importo dell’utile o perdita contabile netta di una stabile organizzazione) che ne esenta peraltro il reddito, è considerata apolide. 

Presunzioni legali di residenza: gli OICR, i trust e le società o enti c.d. «esterovestiti» 

L’art. 73 comma 3 contiene tre presunzioni legali — una assoluta e due relative — di residenza fiscale in Italia rivolta a: 

  • gli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia, ovvero che hanno sede legale in Italia ai sensi dell’art. 1 comma 1 D.l. 58/1998; 
  • salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata che non consentono un adeguato scambio di informazioni (“diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239”), in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato; 
  • salvo prova contraria, i trust istituiti in uno Stato a fiscalità privilegiata che non consentono un adeguato scambio di informazioni (“diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239”), quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.  

Rispetto alla normativa previgente, la presunzione legale avente ad oggetto i trust e gli istituti ad analogo contenuto, un tempo assoluta, è oggi regredita a presunzione relativa che, quindi, ammette prova contraria a carico del soggetto passivo. 

A queste si aggiunge un’ulteriore presunzione legale relativa con finalità antielusive, presente al comma 5-bis dell’art. 73. Secondo questa disposizione: 

«Salvo prova contraria, si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato le società ed enti che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del Codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa: 

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; 

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.» 

Ai sensi dell’articolo, sono considerati residenti in Italia, salvo prova contraria, le società o gli enti controllati o amministrati da soggetti residenti nel territorio dello Stato.  

Le presunzioni legali ex art. 73 trovano fondamento nella “politica anti-esterovestizione”, a contrasto della pratica elusiva attraverso cui una società attua una dissociazione tra sede formale (all’estero) e sostanziale (in Italia) del soggetto passivo, al fine di eludere il diritto tributario nazionale e acquisire un vantaggio fiscale. La Corte di Cassazione, in più occasioni (cfr. Cass. Civ. n. 2869 del 7/2/2013, e Cass. Civ. n. 33234 del 21/12/2018 e Cass. civ., 23/05/2024, n. 14485) ha chiarito che l’esterovestizione si caratterizza per una costruzione di puro artificio, impiantata al solo fine di trarre un vantaggio fiscale. 

Un aspetto delicato riguarda il rapporto tra l’accertamento della residenza fiscale in Italia e l’accertamento di esterovestizione, nella misura in cui anche nel primo caso vi può essere una dissociazione tra situazioni fattuali (direzione effettiva e gestione ordinaria) e formali (sede legale).  

Si pensi al caso di una società costituita all’estero ma che, ai sensi del comma 3 art. 73, risulti residente in Italia per effetto del radicamento della direzione effettiva nel territorio nazionale. In una simile ipotesi potrebbero sussistere i presupposti tanto per l’accertamento della residenza in Italia quanto per il riscontro della pratica elusiva dell’esterovestizione. La Suprema Corte (Cass. civ., Sez. V, 02/10/2024, n. 25917) ha tuttavia risolto questa questione affermando che: 

“Non vi è necessaria coincidenza tra accertamento della residenza in Italia di una società ai sensi dell’art. 73, comma 3, del T.U.I.R. ed accertamento della c.d. esterovestizione elusiva, trattandosi di concetti che possono, ma non debbono inevitabilmente, presentarsi contemporaneamente in ogni fattispecie di rilevanza transnazionale. Con la conseguenza, quindi, che la verifica della residenza in Italia di una società, ai sensi del ridetto art. 73, non richiede necessariamente l’imputazione alla contribuente e l’accertamento di una finalità elusiva volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe”.  

In altri termini, l’accertamento della esterovestizione richiede un quid pluris essenziale: il giudizio soggettivo dell’intento elusivo.  

Il diritto pattizio: l’art. 4 del Modello OCSE 

La normativa domestica non può prescindere dal coordinamento con le fonti sovranazionali, in virtù del principio di prevalenza delle norme convenzionali su quelle nazionali sancito dall’art. 75 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.   

Le Convenzioni contro le doppie imposizioni entrano in gioco nei casi di doppia residenza fiscale, qualora più Stati riconoscano uno stesso soggetto passivo come residente e rivendichino entrambi il potere impositivo su uno stesso contribuente. In base all’art. 4 par. 1 del Modello OCSE, è rimessa alle singole legislazioni nazionali la determinazione dei criteri per l’individuazione della residenza fiscale. Ciò comporta un’eterogeneità di criteri a livello globale e, di conseguenza, il possibile insorgere di conflitti di potestà impositiva.  

La risoluzione dei casi di “dual residency” è demandata al criterio discriminante presente al paragrafo 3 dell’art. 4 del Modello OCSE: 

“Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an individual is a resident of both Contracting States, the competent authorities of the Contracting States shall endeavour to determine by mutual agreement the Contracting State of which such person shall be deemed to be a resident for the purposes of the Convention, having regard to its place of effective management, the place where it is incorporated or otherwise constituted and any other relevant factors. In the absence of such agreement, such person shall not be entitled to any relief or exemption from tax provided by this Convention except to the extent and in such manner as may be agreed upon by the competent authorities of the Contracting States.” 

La Convenzione OCSE pre-2017 aveva riconosciuto come criterio risolutivo il luogo di direzione effettiva (PoEM), così come descritto dal paragrafo 22 del Commentario all’art. 4: 

“The place of effective management was intended to be based on the place where the company, etc. was actually managed” 

La sede di direzione effettiva veniva definita come il luogo in cui le decisioni legate alla gestione dell’attività commerciale vengono assunte.  

Tuttavia, a seguito delle modifiche apportate dal Progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), il par. 3 dell’art. 4 è stato modificato in toto. Quest’ultimo non rimette più i casi di dual residency al criterio del luogo di direzione effettiva, bensì lascia agli accordi bilaterali tra gli Stati in contenzioso (mutual agreement) la competenza a decidere quale delle due autorità fiscali prevale. Tali accordi sono comunque chiamati a tenere in considerazione una pluralità di elementi rilevanti, tra cui (v. Par. 24.1 del Commentario): 

  • la sede di direzione effettiva 
  • il luogo di costituzione 
  • il luogo in cui le riunioni del Consiglio di amministrazione sono regolarmente tenute 
  • il luogo in cui gli amministratori delegati esercitano le proprie funzioni 
  • il luogo in cui i dirigenti esercitano le funzioni di ordinaria amministrazione 

La disciplina attuale non esclude che gli Stati contraenti possano preferire il mantenimento del criterio tradizionale del PoEM. A tal fine, è lo stesso Commentario a proporre una versione revisionata del paragrafo 3 che può essere inserita all’interno dei mutual agreements.  

Può, tuttavia, accadere che gli Stati in lite non raggiungano un accordo. Di fronte a questa prospettiva, il paragrafo 3 dell’art. 4 stabilisce che la persona giuridica non ha diritto ad alcuna esenzione fiscale, se non nei limiti riconosciuti dalle autorità competenti degli Stati contraenti. 

Da ultimo, il d.lgs. 209/2023 all’art. 12 comma 4 riconosce nella residenza fiscale un criterio per individuare la localizzazione di un’impresa nei casi di dual residence. Qualora un’impresa si consideri localizzata in due Paesi, prevale, tra i due, quello in cui è residente secondo le regole presenti nella Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra i due Stati.  

Quadro normativo

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