Al centro della Risposta n. 206/2025 dell’Agenzia delle Entrate vi è un dubbio interpretativo sulla disciplina applicabile ad un dividendo che il Socio unico, fiscalmente residente nella Federazione russa, vorrebbe distribuire e sul quale la Società istante, fiscalmente residente in Italia, dovrà operare una ritenuta alla fonte in qualità di sostituto d’imposta.
In prima battuta, alla luce della normativa domestica viene in considerazione l’art. 27, comma 3 DPR 600/1973, laddove si dispone che gli utili corrisposti a soggetti non residenti, con riferimento alle partecipazioni non relative a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato, sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta nella misura del 26%.
Il principio di prevalenza del diritto sovranazionale sulla normativa domestica, tuttavia, pacificamente riconosciuto e consacrato in diverse norme (art. 75 DPR 600/1973 e art. 169 TUIR), impone però di valutare la questione anche alla luce della normativa convenzionale, dove a venire in considerazione è la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Russia firmata nel 1998 (e relativo Protocollo aggiuntivo del 2009).
L’art. 10 della suddetta Convenzione prevede infatti che la tassazione dei dividendi spetta, sulla base di una potestà impositiva prevista come concorrente, allo Stato della fonte (in cui il dividendo viene percepito) e allo Stato di residenza del soggetto beneficiario, individuando, però, specifiche aliquote agevolative.
In particolare, si prevede che l’imposta applicata non possa eccedere:
- il 5% dell’ammontare lordo dei dividendi se il beneficiario è una società che detiene direttamente almeno il 10 per cento del capitale della società che distribuisce i dividendi;
- il 10% dell’ammontare lordo dei dividendi in tutti gli altri casi.
La questione è divenuta di particolare interesse a seguito del decreto del Presidente della Federazione russa n. 585 dell’8 agosto 2023, recante disposizioni sulla sospensione unilaterale operata dal Paese di alcune previsioni di accordi internazionali in materia di imposizione fiscale.
Con specifico riferimento all’Italia, poi, viene in considerazione la sospensione in via unilaterale del Governo russo di alcuni articoli della Convenzione (tra cui l’art. 10 di cui sopra), tra i quali però non figura l’art. 24 relativo all’eliminazione della doppia imposizione.
Il dubbio dell’Istante si innestava proprio su questa questione, se, anche alla luce della Convenzione di Vienna, la Convenzione italo-russa dovesse ritenersi applicabile da parte dell’Italia e, quindi, se fosse possibile l’applicazione dell’aliquota ridotta del 5%.
Nell’analizzare la questione, l’Agenzia delle Entrate ha riportato come con riferimento all’Italia, il punto 22 del Decreto russo ha disposto la sola sospensione degli articoli 5-23 e 25 della Convenzione e dei paragrafi “a”-“d” e “f” del successivo Protocollo aggiuntivo.
Inoltre, in merito all’efficacia della Convenzione in vigore, l’art. 30 prevede come unica causa di cessazione degli effetti la denuncia della stessa da parte di uno degli Stati Contraenti, per via diplomatica e non prima che siano trascorsi cinque anni dall’entrata in vigore, notificando, peraltro, la cessazione in questione alla controparte almeno sei mesi prima della fine dell’anno solare.
Come si evince dalla soluzione prospettata dall’Amministrazione Finanziaria, ad oggi né l’Italia né la Russia hanno proceduto alla denuncia della Convenzione. Quest’ultima risulta essere ancora pienamente efficace per l’Italia, e, dunque, applicabile.
Nel caso di specie, dunque, nella distribuzione del dividendo al Socio unico l’Istante potrà operare la ritenuta alla fonte a titolo d’imposta applicando, laddove ricorrano i presupposti previsti dalla norma convenzionale, l’aliquota ridotta.