L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato un secondo interpello sul regime dei lavoratori impatriati, così come disciplinato dal D.Lgs. 209/2023 (risposta n. 22/2025), dopo il primo intervento relativo alla cumulabilità con altre agevolazioni per il rientro in Italia delle persone fisiche (risposta n. 16/2025).
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Il nuovo interpello chiarisce che si applica un periodo minimo di residenza estera di 6 o 7 anni anche nei casi in cui l’impatriato svolga attività di lavoro autonomo in Italia per un ex datore di lavoro estero.
Cosa chiarisce l’interpello
Il punto chiave dell’interpello riguarda l’art. 5, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 209/2023, che stabilisce che, se il lavoratore presta la sua attività in Italia per lo stesso soggetto con cui era impiegato all’estero prima del trasferimento, o per un soggetto dello stesso gruppo, il periodo minimo di residenza estera precedente (generalmente 3 periodi d’imposta) si allunga.
Questo periodo diventa di:
- 6 periodi d’imposta se il lavoratore non è stato impiegato in Italia per lo stesso datore o per un soggetto dello stesso gruppo, e
- 7 periodi d’imposta se il lavoratore aveva già lavorato in Italia per lo stesso soggetto o gruppo prima di trasferirsi all’estero.
Il caso in oggetto
Nel caso esaminato, si trattava di una persona di nazionalità francese che aveva lavorato in Italia fino a marzo 2018, per poi trasferirsi in Svizzera e lavorare a Zurigo con un contratto subordinato fino ad agosto 2024. Successivamente, questa persona ha trasferito la sua residenza in Italia e ha stipulato un contratto di consulenza con la stessa società di Zurigo (che è rimasta l’unica committente).
La domanda principale riguardava la possibilità di accedere alle agevolazioni fiscali, considerando che il rapporto di lavoro continuava con la stessa controparte, pur con un cambio di contratto da subordinato a consulenza.
L’Agenzia delle Entrate ha risposto favorevolmente, riconoscendo la possibilità di usufruire delle agevolazioni, ma precisando che il periodo minimo di residenza estera è di sei anni e non quello ordinario di tre. In particolare, l’art. 5, comma 1, lettera b) del D.Lgs. n. 209/2023 stabilisce che:
- Se il lavoratore non ha mai prestato attività in Italia per l’ex datore di lavoro o per una società dello stesso gruppo, il periodo minimo di residenza estera è di 6 anni;
- Se, invece, il lavoratore aveva già lavorato in Italia per lo stesso soggetto o per una società del gruppo prima del trasferimento all’estero, il periodo di residenza aumenta a 7 anni.
Secondo la risposta n. 22/2025, la norma non specifica il tipo di contratto da stipulare tra le parti per determinare l’estensione del periodo di residenza estera. Pertanto, ogni volta che il lavoratore presta attività (anche di lavoro autonomo) per il medesimo ex datore di lavoro estero, il periodo minimo di residenza pregressa diventa 6 o 7 anni.
Dall’interpello potrebbe quindi dedursi che il periodo di sei o sette anni di residenza estera si applichi non solo nel caso di monocommittenza, ma anche quando l’ex datore di lavoro è solo uno tra i clienti dell’impatriato.