La normativa italiana sulla stabile organizzazione personale (da agente dipendente)
Dalla principale distinzione tra stabile organizzazione materiale e personale in Italia, poste in un rapporto gerarchico al fine di evitare comportamenti elusivi con riferimento alle norme in materia di stabile organizzazione materiale, deriva la conseguenza per cui un’impresa estera potrebbe essere tassabile in Italia anche senza una sede fissa di affari.
È questo il caso della stabile organizzazione da agente dipendente.
In Italia la norma che viene in considerazione è il comma 6 dell’articolo 162 del TUIR, ai sensi del quale si rientra in questa casistica
- «se un soggetto agisce nel territorio dello Stato per conto di un’impresa non residente
- e abitualmente conclude contratti o opera ai fini della conclusione di contratti senza modifiche sostanziali da parte dell’impresa
- Detti contratti sono in nome dell’impresa, oppure relativi al trasferimento della proprietà, o alla concessione del diritto di utilizzo di beni di tale impresa o che l’impresa ha il diritto di utilizzare, oppure relativi alla fornitura di servizi da parte di tale impresa. In tali casi si considera che l’impresa abbia una stabile organizzazione nel territorio dello Stato in relazione a ogni attività svolta dal suddetto soggetto per conto dell’impresa. Tale presunzione non opera quando le attività di questo soggetto sono limitate alle attività di cui al comma 4, le quali, anche se svolte tramite una sede fissa di affari, non consentirebbero comunque di qualificare tale sede come stabile organizzazione ai sensi dello stesso comma 4.
In questi casi, si ritiene che l’impresa abbia una stabile organizzazione con riferimento a tutte le attività svolte dall’agente per conto della stessa.
Il successivo comma 7 del medesimo articolo specifica il caso del c.d. agente indipendente (ad esempio un commissionario), al quale il comma 6 non si applica (cfr. a tal proposito Risoluzione n. 4/E/2017). Un agente indipendente è quindi un soggetto che opera sul territorio dello Stato per conto di un’impresa non residente ma svolge la sua attività in uno status di indipendenza e nella propria ordinaria attività.
Tuttavia, qualora un soggetto operi esclusivamente o quasi esclusivamente per conto di una o più imprese alle quali risulta essere «strettamente correlato», viene meno lo status di agente indipendente. La definizione del concetto di soggetto strettamente correlato a un’impresa è rinvenibile nel successivo comma 7-bis. Ai sensi di tale comma, un soggetto si considera strettamente correlato qualora, alla luce di tutti i fatti e le circostanze rilevanti, l’uno abbia il controllo dell’altro oppure entrambi siano controllati da uno stesso soggetto. In tal caso, dunque, questo soggetto rientra nella casistica di applicazione del comma 6, dando vita ad una stabile organizzazione.
Secondo quanto stabilito dal TUIR, un agente dipendente potrebbe non dare luogo a una stabile organizzazione se le attività svolte da quest’ultimo rientrano nelle eccezioni previste dal comma 4 dell’articolo 162 del TUIR, la cosiddetta negative list. Tra queste eccezioni rientra, ad esempio, la disponibilità di una sede fissa di affari. Tale sede può essere utilizzata esclusivamente ai fini di acquistare beni o merci, o di raccogliere informazioni per l’impresa.
Giurisprudenza italiana in tema di stabile organizzazione da agente dipendente
L’orientamento giurisprudenziale prevalente in tema di verifica della sussistenza dei requisiti della presenza di una stabile organizzazione afferma che questa debba essere condotta non solo su di un piano meramente formale, ma anche e soprattutto sostanziale (sul tema cfr. la recente Cass. civ., sez. Trib., n. 992/2024).
Come chiarito anche dalle Commissioni Tributarie (come in Comm. Trib. Reg. Lombardia – Milano, Sez. 21, sent. 23 novembre 2018, n. 4868), per la sussistenza di una stabile organizzazione da agente dipendente deve verificarsi almeno une delle due condizioni alternative previste:
- l’agente dipendente deve rappresentare l’impresa, o
- deve svolgere un ruolo decisivo ai fini della conclusione di determinate tipologie di contratti.
In alcuni casi (ad es. Comm. Trib. Prov., Como, sez. 4, sent. 8 maggio 2013, n. 53) dopo accertamenti messi in atto dall’Agenzia dell’Entrate, le Commissioni Tributarie hanno ribadito che non è possibile utilizzare le tipiche presunzioni semplici previste dalla normativa tributaria per dimostrare la sussistenza di una stabile organizzazione personale in Italia.
Questa, infatti, deve essere provata con riferimento a tutte le condizioni previste dalla legge, come, ad esempio, che l’agente concluda abitualmente contratti per conto dell’impresa non residente.
Sulla stessa linea si segnala la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado – Lazio, Roma, sez. 7, sentenza 30 aprile 2024, n. 2911. Si può considerare anche l’orientamento del Supremo Consesso (Cass., sent. n. 8488/2010). Secondo tale orientamento, ai fini della sussistenza di una stabile organizzazione in Italia è sufficiente che venga accertato almeno uno dei due requisiti alternativi previsti: l’elemento oggettivo (la stabile organizzazione materiale) oppure quello soggettivo (la stabile organizzazione personale).
Inoltre, un altro principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione prevede che ogniqualvolta un’impresa non residente abbia uno stabile agente non indipendente che concluda abitualmente contratti per suo conto, questo costituirà una stabile organizzazione personale anche se lo stesso agente agisca in base ad ordini o direttive provenienti dalla stessa impresa.
Inoltre, un altro principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione prevede che ogniqualvolta un’impresa non residente abbia uno stabile agente non indipendente che concluda abitualmente contratti per suo conto, questo costituirà una stabile organizzazione personale anche se lo stesso agente agisca in base ad ordini o direttive provenienti dalla stessa impresa.
Lo stesso principio è stato riaffermato nella successiva Cass. civ. n. 8543/2016.
Da un altro punto di vista, la Cassazione, con sentenza n. 2597/2023 , ha stabilito che la semplice attività di un commissionario con status indipendente non dà luogo a una stabile organizzazione. Infatti, tra vari altri elementi, è irrilevante che l’impresa non residente sia esonerata dal sopportare il rischio di impresa nell’altro Stato contraente. Nel caso specifico, il commissionario svolgeva solo attività ausiliarie e preparatorie rispetto all’attività commerciale concretamente esercitata dalla holding.
La stabile organizzazione da agente dipendente nella Convenzione OCSE
Le norme pattizie derivanti da accordi tra Stati prevalgono sul diritto interno ai sensi dell’art. 169 del TUIR oltre che dell’art. 75 del D.P.R. n. 600/1973 – questo principio generale è stato più volte ribadito anche dalla Corte di Cassazione (cfr., ex multis, Cass. civ. n. 23984/2016). Pertanto, viene in considerazione il paragrafo 5 dell’articolo 5 della Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, che fornisce una definizione di stabile organizzazione da agente dipendente pressochè identica a quella prevista dalla normativa italiana.
Viene inoltre specificato al paragrafo 6 che quanto previsto al paragrafo 5 non si applica quando il soggetto che agisce in uno Stato contraente per conto dell’impresa di un altro Stato contraente opera come agente indipendente. In questo caso, egli deve svolgere la propria attività nel primo Stato nell’esercizio ordinario della propria professione. L’esclusione trova applicazione anche quando le attività svolte per conto dell’impresa non residente sono limitate a quelle previste nel paragrafo 4. Tale elenco di attività limitate è comunemente indicato come negative list.
Pertanto, ai sensi della Convenzione, esclude la sussistenza di una stabile organizzazione personale il verificarsi di due condizioni:
- che l’agente sia legalmente ed economicamente indipendente
- che l’agente agisca nell’esercizio ordinario delle proprie attività.
Tuttavia, quando un soggetto agisce esclusivamente o quasi esclusivamente per conto dell’impresa a cui è strettamente correlato, questi non dovrebbe essere qualificato come un agente indipendente. Infatti, il paragrafo 8 prevede una specificazione del concetto di persona strettamente correlata all’impresa per conto di cui opera. Tale concetto trova applicazione quando uno dei due soggetti controlli l’altro oppure siano entrambi sotto il controllo dello stesso altro soggetto o impresa.
Requisiti convenzionali
Ai sensi del Commentario all’articolo 5 della Convenzione, è irrilevante se il soggetto la cui attività potrebbe potenzialmente dare luogo ad una stabile organizzazione sia una persona fisica o giuridica.
Tuttavia, considerando lo scopo primario della Convenzione di proteggere le relazioni economiche internazionali, viene chiarito che non ogni soggetto che opera per conto dell’impresa costituisce una stabile organizzazione. Dunque, il paragrafo 5 elenca una serie di condizioni che devono essere verificate affinchè si possa parlare di stabile organizzazione da agente dipendente.
Nello specifico, sono tre le condizioni da verificare affinchè si possa rientrare nella casistica del paragrafo 5:
- un soggetto che operi in uno Stato contraente per conto dell’impresa e abbia l’autorità di concludere contratti – una differenza notevole da sottolineare è che la Convenzione OCSE non prevede specificamente il caso in cui un agente agisca per conto dell’impresa ma seguendo precisi ordini o direttive;
- un soggetto che concluda abitualmente contratti o abitualmente svolga un ruolo determinante nella conclusione di contratti solitamente conclusi dall’azienda senza modificazioni da parte dell’impresa – la presenza fisica dell’agente deve tuttavia essere non meramente transitoria, con riferimento alla tipologia di contratti conclusi;
- e che questi contratti siano conclusi in nome dell’impresa o per il trasferimento di proprietà, o per la previsione di servizi dell’impresa – il Commentario inoltre specifica che l’espressione “in nome dell’impresa” trova applicazione anche nei confronti di agenti che concludono contratti che sono vincolanti per l’impresa.
Il Paragrafo 5, inoltre, prevede un c.d. “alternative test”, da utilizzare per determinare se un’impresa abbia o meno una stabile organizzazione in un altro Stato contraente. Infatti, laddove l’impresa soddisfi le condizioni di cui ai Paragrafi 1 e 2, non sarà più necessario dimostrare che un agente dipendente dia o meno luogo ad una stabile organizzazione.
Principali differenze tra legislazione nazionale e sovranazionale
La differenza fondamentale tra la normativa italiana in tema di agente dipendente fornita dal TUIR e la Convenzione OCSE riguarda l’interpretazione del ruolo dell’agente. Infatti, secondo il Paragrafo 97 del Commentario all’articolo 5 la mera presenza o partecipazione alla conclusione di contratti per conto di un’impresa non residente non costituisce de plano una stabile organizzazione nell’altro Stato. Diversamente, l’Italia ha chiarito che la sua giurisprudenza nazionale deve essere tenuta in considerazione nell’interpretazione della norma. A tale riguardo, la sentenza della Cass. civ. n. 7682/2002 (a seguito della quale l’Italia ha esercitato la riserva per la disapplicazione in ambito convenzionale) assume un ruolo centrale. In quella pronuncia è stato affermato che un’impresa italiana può divenire la stabile organizzazione di diverse imprese non residenti, posto sotto uno stesso controllo che fossero incaricate di negoziare termini e condizioni per conto dell’altra impresa.
Inoltre, è stato notato che con riferimento alla conclusione di contratti, mentre l’articolo 5 della Convenzione OCSE richiede che l’agente dipendente svolga un “ruolo principale”, l’art. 162 del TUIR richiede che lo stesso semplicemente “agisca” a tal fine.
In aggiunta, mentre il TUIR considera le attività elencate al comma 4 dell’art. 162 come attività che non danno luogo ad una stabile organizzazione, la Convenzione statuisce espressamente che questo non accade laddove tali attività siano di carattere meramente ausiliario o preparatorio.
La Procedura Amichevole
Quando un contribuente tema di essere assoggettato a doppia imposizione in due diversi Stati contraenti, in difformità, quindi, rispetto alla Convenzione OCSE, a prescindere da qualsiasi rimedio attivato o attivabile a livello nazionale, può fare ricorso all’autorità competente.
Nell’attivazione della procedura amichevole, le autorità competenti di entrambi gli Stati coinvolti sono obbligati a confrontarsi tra di loro, secondo le norme della Convenzione e i principi del diritto internazionale. Tuttavia, non c’è nessun’altra condizione: non hanno, cioè, alcun obbligo di risultato.
Tali procedure possono essere attivate tanto dall’autorità competente quanto dal contribuente, anche senza aspettare la notifica della misura che darà luogo ad un fenomeno di doppia imposizione.
Nel fare ciò, è sufficiente la prova che le “azioni di uno o entrambi gli Stati” daranno luogo ad una doppia imposizione, e che tale rischio non sia solo possibile ma probabile.
Laddove le predette autorità non riescano ad addivenire ad un accordo tra di loro entro 2 anni (a partire dal giorno in cui tutta la documentazione sia stata loro fornita), le singole convenzioni bilaterali possono prevedere una fase ulteriore, e cioè che, mediante richiesta scritta, si apra la fase dell’arbitrato.
In sintesi, vi sono due fasi principali:
- la prima è l’attivazione della procedura da parte del contribuente, e riguarda le comunicazioni tra il contribuente che lamenta un caso di doppia imposizione e l’autorità competente a cui si rivolge.
- la seconda fase ha inizio nel caso in cui l’autorità competente adita per prima non riesce a giungere ad una soluzione con il contribuente, e si rivolge, quindi, all’autorità competente dell’altro Stato contraente per avviare una consultazione.
Più nello specifico, il Paragrafo 5 (aggiunto nel 2008) stabilisce che, quando un contribuente abbia avanzato un’istanza alle autorità competenti ai sensi del Paragrafo 1, queste dispongono di due anni per trovare una soluzione. Se entro tale termine non si perviene a un accordo, ogni problema rimasto irrisolto può essere sottoposto al meccanismo dell’arbitrato. Tuttavia, l’arbitrato è possibile solo quando il caso non sia stato devoluto all’autorità giudiziaria di uno degli Stati contraenti.
Ad ogni modo, come specifica l’articolo 25 della Convenzione, questa fase, laddove prevista, diviene “parte integrante” della procedura amichevole. Tuttavia, vi si può ricorrere solo laddove sia stata espressamente prevista o aggiunta nelle convenzioni bilaterali stipulate.
Con questa ulteriore clausola, l’efficienza del meccanismo della procedura amichevole risulta rinforzata.