Quando è possibile richiedere il rimborso del credito IVA?
La norma che viene in considerazione in caso di insorgenza di un credito IVA è l’art. 30 del DPR 633/1972, ai sensi del quale, a fronte di un credito superiore ad euro 2.582,28, il contribuente ha diritto di computare in detrazione l’importo in questione nell’anno successivo, ovvero di richiederne il rimborso, nei casi tassativamente previsti nei commi successivi dello stesso art. 30, e in particolare:
- quando esercita esclusivamente o prevalentemente attività che comportano l’effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle dell’imposta relativa agli acquisti e alle importazioni, computando a tal fine anche le operazioni effettuate a norma articolo 17, quinto, sesto e settimo comma;
- quando effettua operazioni non imponibili di cui agli articoli 8, 8-bis e 9 per un ammontare superiore al 25 per cento dell’ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate;
- limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche;
- quando effettua prevalentemente operazioni non soggette all’imposta per effetto degli articoli da 7 a 7-septies;
- quando si trova nelle condizioni previste dal terzo comma dell’articolo 17.
Il rimborso IVA per i beni ammortizzabili: la novità
Con particolare riferimento alla lett. c) del comma 2 dell’art. 30, si prevede la possibilità per il contribuente di avanzare una richiesta di rimborso per l’eccedenza detraibile “limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche”.
A seguito di varie richieste di chiarimenti pervenuti all’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 20/E del 26 marzo 2025 la stessa si è pronunciata sul tema della rimborsabilità dell’eccedenza IVA detraibile “per opere realizzate su beni di terzi”, e in particolare per lavori di ristrutturazione o manutenzione, attuando un’inversione dell’orientamento di prassi così come delineato (e fino a quel momento seguito) nella Risoluzione n. 179/E/2005.
Sulla base di tale orientamento, infatti, non poteva riconoscersi il diritto al rimborso dell’IVA con riferimento a spese effettuate per “il miglioramento, trasformazione od ampliamento di beni di terzi concessi in uso o comodato, qualora si estrinsechino in opere non suscettibili di autonoma utilizzabilità, non siano iscrivibili tra le immobilizzazioni materiali, non potendo le opere realizzate essere rimosse al termine del periodo di utilizzo” e non potendo, da un punto di vista fiscale, essere queste ultime considerate quali “beni” (della specie immateriali).
Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 13162/2024)
L’inversione in esame, invero, ha preso le mosse dalla fondamentale sentenza n. 13162/2024 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia IVA, la quale, analizzando la spinosa questione riguardante la possibilità del soggetto passivo di usufruire del diritto al rimborso dell’IVA assolta per l’esecuzione di opere su beni di terzi di cui questi abbia la detenzione, ha affermato il principio di diritto per il quale “L’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta“.
Più nello specifico, nel caso all’esame della Corte la ricorrente Agenzia delle Entrate lamentava una violazione di legge relativamente all’equiparazione, effettuata in termini impliciti, dei presupposti per la detrazione e per il rimborso dell’IVA – a monte, il necessario giudizio sulla possibilità di far rientrare nella sfera di applicabilità dell’art. 30, comma 2, lett. c) DPR 633/1972, e, quindi, nel concetto di “beni ammortizzabili” (ai sensi degli artt. 102-103 DPR n. 917/1986), non solo beni strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa, ma anche quelli dei quali il contribuente abbia il possesso in virtù del diritto di proprietà o altro diritto reale.
A fronte della questione ermeneutica centrale, relativa alla suddetta equiparazione dei presupposti tra i due distinti istituti, con specifico riferimento ad operazioni imponibili ma relative a beni di proprietà di un terzo rispetto al rapporto d’imposta, si delinea un quadro normativo che al di sopra della normativa italiana – per la quale viene in considerazione l’art. 30 DPR 633/1972 – pone la normativa europea, e in particolare l’art. 183 della direttiva 2006/112/CEE (c.d. direttiva rifusa).
Ai sensi di tale norma, “qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite”.
Fino alla devoluzione della questione – stante la fondamentale funzione nomofilattica realizzata dalle Sezioni Unite – all’interno della stessa Sezione tributaria si registrava il contrapporsi di due orientamenti:
- un primo orientamento (maggioritario) che afferma l’equivalenza di presupposti tra il diritto al rimborso e il diritto alla detrazione, con l’unica condizione della strumentalità all’esercizio dell’attività d’impresa dei beni interessati;
- un secondo indirizzo, più restrittivo, per il quale invece tale equivalenza va negata.
Stante il disposto del suddetto art. 183, il quesito che si è posto è quello relativo alla discrezionalità o meno riconosciuta in capo al legislatore nazionale dalla norma unionale relativamente alla possibilità di differenziare il trattamento dei due istituti in termini sostanziali ovvero solo procedimentali.
A parere del Supremo Consesso, le norme devono essere interpretate secondo l’indirizzo maggioritario della Sezione tributaria, che propende per l’equivalenza dei presupposti della detrazione e del rimborso, proprio a partire dall’interpretazione letterale della direttiva.
Peraltro, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la normativa interna deve attenersi a precisi caposaldi, tra i quali a fare da faro nel dirimere questioni controversie è il principio di neutralità dell’imposta. Utilizzato come base ermeneutica dalla Corte di giustizia UE orientata nel senso della totale equiparazione di detrazione e rimborso quali strumenti atti a garantire tale principio.
Tale principio, alla luce dell’orientamento in questione, assegna un valore “tendenzialmente assoluto” a tale principio eurounitario, nel senso che, in ogni caso, “il soggetto passivo dell’imposta non può esserne inciso al pari di un consumatore finale”.
La nuova interpretazione di “beni ammortizzabili”
Nel caso, come il presente, di un’imposta armonizzata (sottoposta, cioè, alla disciplina eurocomunitaria), sussiste un obbligo di interpretazione conforme quale strumento attuativo del principio di primazia del diritto unionale – per collocare, dunque, la giurisprudenza nazionale nel solco dei principi di quella europea, si profila la necessaria esigenza di un’interpretazione estensiva della norma interna. Nello specifico, l’interpretazione strictu sensu letterale va ampliata attraverso l’attribuzione di un significato lato, prevedendo che per “acquisto” debba intendersi la disponibilità del bene in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione, e per “ammortizzabile” la sua durevolezza o utilità pluriennale (il riferimento è qui ad un periodo di tempo “apprezzabilmente lungo”, quale appunto può essere anche un contratto di locazione o comodato) – senza che ciò faccia venir meno il concetto funzionale di “strumentalità” ai fini imprenditoriali, presupposto generale della detraibilità a fini IVA ex art. 19, comma 1 del medesimo Testo Unico.
Il recepimento del principio nella Risoluzione n. 20/E/2025
Con la Risoluzione n. 20/E/2025, dunque, l’Agenzia delle Entrate ha “recepito” il nuovo orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite, adeguando la prassi alla nuova concezione di beni ammortizzabili – tra i quali figurano anche le opere eseguite su beni di terzi con riferimento, ad esempio, ad immobili in locazione o in comodato – oltre che all’equivalenza dei presupposti tra gli istituti della detrazione e del rimborso dell’IVA.