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Residenza Fiscale in Italia

Guida completa sulla residenza fiscale in Italia: come si determina, qual è la differenza tra residenza anagrafica e fiscale, gli obblighi e le principali novità per il 2024.

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In Italia, la residenza fiscale è lo status che, se riconosciuto come tale dall’ordinamento tributario di uno Stato, si traduce in una tassazione worldwide dell’individuo. Il riconoscimento di tale status giuridico implica per il soggetto l’adempimento delle obbligazioni tributarie connesse a tale condizione giuridica (art. 3 TUIR). 

Doppia residenza fiscale: come evitare la doppia tassazione

Generalmente, nulla impedisce che una persona fisica possa avere più di una residenza fiscale, nella circostanza però che ciascuna sia localizzata in ordinamenti giuridici statuali diversi tra loro.  

La doppia tassazione giuridica internazionale identifica la situazione in cui due Stati impongono sopra la stessa base imponibile, del medesimo periodo d’imposta, tributi simili a carico dello stesso soggetto giuridico. Così viene identificata la doppia tassazione dal Modello OCSE, principale strumento-guida per la redazione delle Convenzioni bilaterali.

Pertanto, l’OCSE ha approvato l’aggiornamento al Modello di Convenzione fiscale sul reddito e sul capitale, approntando la cosiddetta tie breaker rule (art. 4 §2) al fine di risolvere e scongiurare i potenziali conflitti di doppia residenza fiscale e di superare le asimmetrie fiscali presenti in materia a livello internazionale.

Il Modello OCSE offre quattro criteri da applicare nelle Convenzioni bilaterali da stipulare, affinché possa essere pacificamente determinata l’esatta residenza fiscale del soggetto. Tali criteri sono tra loro successivi: partendo dalla regola sub a), si consiglia di utilizzare il primo criterio utile a dirimere il conflitto insorto. 

Doppia imposizione nell’Unione Europea

Nel sistema dell’Unione Europea, invece, la doppia imposizione internazionale è stata ritenuta dalla Commissione Europea alla stregua di un ostacolo considerevole al libero mercato, da eliminare e scongiurare. Tuttavia, ad oggi non vi è nel diritto europeo un divieto di doppia imposizione legalmente espresso, come ha ricordato anche la Corte di Giustizia (causa C-336/96 Coniugi Gilly).

I trattati dell’Unione Europea non contengono previsioni in materia di imposte dirette. Tuttavia, riconoscono all’UE la facoltà di poter adottare direttive che favoriscano il ravvicinamento e l’armonizzazione delle disposizioni amministrative, legislative e regolamentari degli Stati membri che abbiano sul mercato interno un’incidenza diretta (art. 115 TFUE). 

Doppia imposizione in Italia

Il sistema giuridico e tributario italiano considera rilevante l’adeguamento al Modello di Convenzione OCSE, anche in forza del richiamo presente all’art. 3 della L. 111/2023 e nel preambolo del D. Lgs. 209/2023.

È fondamentale evidenziare che quanto contenuto nel Modello OCSE non è giuridicamente vincolante, essendo un modello a cui ispirare le Convenzioni bilaterali sottoscritte da due Stati Contraenti. Le Convenzioni acquisiranno valore legale una volta entrate a far parte dell’ordinamento statale.

In altri termini, sono le Convenzioni bilaterali entrate validamente in vigore a fungere da riferimento normativo, assieme alle principali normative tributarie italiane vigenti – cioè:

  • lo Statuto dei diritti del contribuente (D.P.R. 212/2000);
  • il Testo Unico delle Imposte sui Redditi c.d. TUIR (D.P.R. 917/1986);
  • le disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (D.P.R. 600/1973);
  • il contenzioso tributario (D. Lgs. 546/1992);
  • la disciplina dell’IVA (D.P.R. 633/1972);
  • i D.lgs. 471/1997 e 472/1997 sulle sanzioni amministrative, ed
  • il D.P.R. 602/1973 sulla riscossione. 

Convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione

L’ordinamento italiano non pone alcuna clausola ostativa in merito alle situazioni di doppia residenza fiscale o alla doppia tassazione, ma cerca di risolverle. Infatti, l’Italia ha sottoscritto numerose Convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione. Tali strumenti giuridici permettono di evitare la doppia tassazione, armonizzando sotto il profilo tributario plurime residenze fiscali.

Tuttavia, va specificato che tutto ciò è possibile solo laddove siano state sottoscritte e ratificate le Convenzioni bilaterali tra l’Italia e lo Stato Controparte. Dunque, la vigenza di tali Convenzioni consente di individuare l’effettiva residenza fiscale e di applicare il giusto regime fiscale.  

È imprescindibile ricordare che, a norma dell’art. 169 TUIR, le disposizioni del Testo Unico delle Imposte sui Redditi si applicano, qualora siano più favorevoli per il contribuente, anche in deroga alle Convenzioni internazionali vigenti contro la doppia imposizione. In tal modo, viene riconosciuto un principio di favore per il contribuente nel caso in cui si trovasse più avvantaggiato dalle disposizioni del TUIR rispetto a quelle pattizie.

Il riferimento implicito è comunque la pregressa vigenza di una Convenzione bilaterale tra l’Italia e l’altro Stato Contraente, in cui il trattamento previsto per il contribuente risulta più svantaggioso rispetto a quanto previsto dalla normativa nazionale. Ciò si applica anche quando quest’ultima dovesse contrastare con la Convenzione. Sussistendo i pregressi requisiti, vi sarà l’applicato l’art. 169 TUIR. 

Per poter avvalersi dei benefici delle convenzioni contro la doppia imposizione, è necessario richiedere un certificato di residenza fiscale.

Residenza fiscale e residenza anagrafica

Nel contesto italiano, per qualsiasi persona fisica (cittadina o straniera) è importante distinguere i concetti di residenza fiscale e anagrafica, perché da essi discendono o insorgono obblighi e diritti differenti. 

Per residenza anagrafica si intende quella disciplinata dal capoverso dell’art. 43 del Codice civile italiano, in base al quale essa coincide con il luogo in cui la persona ha la dimora abituale, cioè in cui la presenza del soggetto in un dato luogo è effettiva ed abituale. Inoltre, la residenza anagrafica consiste in un radicamento amministrativo che attesta giuridicamente il legame politico e sociale tra un soggetto e una comunità territoriale. In altri termini, è uno status che garantisce alla persona una precisa identità.

Invece, la residenza fiscale è uno dei criteri utilizzati dall’ordinamento tributario italiano per considerare un soggetto come fiscalmente residente o no. Essa rappresenta la condizione giuridica che implica l’assolvimento di determinati obblighi tributari. Il principale riferimento normativo è rappresentato dall’art. 2 del D.P.R. 917/1986 (TUIR), in gran parte appena riformato dall’art. 7 c.1 del D. Lgs. 209/2023 (recante “Attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale”). 

Gli stranieri devono essere iscritti all’anagrafe?

Secondo la normativa italiana, l’iscrizione nei registri anagrafici è un diritto soggettivo incondizionato per i cittadini italiani e per i cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia (art. 6 c.7 D. Lgs. 286/1998). Ma vi sono dei requisiti precisi e, di conseguenza, l’iscrizione in tali registri non è automatica

In particolare: 

  • per un cittadino straniero, è necessario che il soggiorno sul territorio nazionale sia regolare. I requisiti per la regolarità variano in base alla condizione di cittadino europeo o extra UE. Nel caso dei cittadini europei, non occorre il permesso di soggiorno, ma per fissare la residenza è necessario possedere un titolo di studio o di lavoro e un’assicurazione sanitaria, oltre a dimostrare la disponibilità di adeguate risorse economiche per il proprio sostentamento.
  • per un cittadino extra UE, l’accesso alla residenza avviene sulla base del passaporto e del permesso di soggiorno – è valida la ricevuta di primo rilascio e di rinnovo;  
  • per il soggetto richiedente o titolare di protezione internazionale, l’iscrizione nei registri anagrafici avviene in base al titolo rilasciato dalla Questura (Circolare del Ministero dell’Interno 2006). 

Chi è soggetto al pagamento delle imposte in Italia?

L’art. 2 comma 1 del TUIR prevede che siano soggetti passivi dell’imposta le persone fisiche residenti e non residenti in Italia. Di conseguenza, è sufficiente che una persona fisica sia presente sul territorio italiano per essere ritenuta dall’ordinamento un soggetto passivo di imposta (ad. es. l’imposta di soggiorno prevista dall’art. 4 D. Lgs. 23/2011).

In questo senso, una persona fisica presente sul suolo italiano potrebbe essere chiamata ad assolvere alle proprie obbligazioni tributarie eventualmente contratte. In estrema sintesi, il requisito fondamentale è la presenza sul territorio nazionale. 

Chi è considerato fiscalmente residente in Italia?

Ai fini delle imposte sui redditi, l’art. 2 comma 2 del TUIR prevede che siano considerati fiscalmente residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta (art. 7 TUIR) – considerando anche le frazioni di giorno – abbiano la residenza ai sensi del Codice civile (art. 43) o il domicilio, o siano presenti nel territorio italiano.

Queste condizioni sono tra loro alternative: significa che è sufficiente che almeno una delle tre si realizzi perché ad una persona fisica possa essere attribuita la residenza fiscale in Italia.

Riassumendo, le tre condizioni tra loro alternative sono: 

  • Residenza; 
  • Domicilio; 
  • Mera presenza sul territorio nazionale.

Residenza fiscale 2024: tre aspetti salienti

In seguito a recenti aggiornamenti legislativi, vi sono alcune novità che meritano di essere rimarcate per cogliere pienamente i requisiti che conducono all’attribuzione della residenza fiscale e, quindi, ai conseguenti obblighi. In particolare, si segnalano tre aspetti rilevanti:

  • Il periodo d’imposta
  • La nuova definizione di domicilio ai fini della presente normativa; 
  • La connotazione primaria che assumono gli aspetti familiari e personali

Residenza fiscale: 183 giorni

Con riguardo al periodo d’imposta, ora sono considerate anche le frazioni di giorno nel computo del periodo trascorso in Italia. Perciò, sarà sufficiente superare i 183 giorni (o 184 in caso di anno bisestile) – in qualsiasi modo computati e anche non continuativi – per risultare fiscalmente residenti in Italia e, pertanto, risultare soggetti passivi dell’imposta.  

Nuova definizione di domicilio

Nel secondo capoverso dell’art. 2 comma 2 del TUIR, viene fornita una nuova definizione di domicilio: questa concerne esclusivamente l’interpretazione della nozione di domicilio ai fini dell’applicazione e delle implicazioni del nuovo art. 2 TUIR.

Dunque, la novella legislativa intende per domicilio quel luogo in cui si sviluppano «in via principale» le relazioni personali e familiari della persona. La recentissima introduzione di questa definizione non ha ancora permesso il consolidarsi sul tema né di un’interpretazione uniforme, né di una giurisprudenza consolidata.

Dunque, sorge spontaneo interrogarsi se questa definizione di domicilio debba intendersi come residuale ed integrativa rispetto a quella fornita dall’art. 43 c.c., oppure autonoma rispetto a quest’ultima. In ragione del recente ingresso di questa definizione e delle altre motivazioni già menzionate, riteniamo che al momento si debba propendere per un’interpretazione letterale della disposizione.

In tale modo, unicamente nel contesto del TUIR e, nello specifico, dell’attribuzione dello status di residenza fiscale, va ritenuta prevalente la definizione di domicilio fornita dall’art. 2 comma 2 del TUIR rispetto a quella codicistica (art. 43 c.c.).

All’interno della gerarchia delle fonti, rimane ferma la collocazione del TUIR quale atto normativo di rango immediatamente inferiore alla legge ordinaria, rango che, invece, appartiene al Codice civile e, quindi, al suo art. 43 in tema di domicilio.  

Il ruolo delle relazioni personali e familiari

L’inciso «in via principale» ricordato sopra sottolinea la primarietà che nell’individuazione del domicilio rivestono le relazioni personali e familiari sviluppate dal soggetto in un dato luogo.

Altri criteri di attribuzione della residenza fiscale: onere della prova 

Proseguendo nella lettura del comma 2, vengono presunte fiscalmente residenti anche le persone fisiche risultate iscritte nei registri anagrafici della popolazione residente per la maggior parte del periodo di imposta, salvo prova contraria. In quest’ultimo capoverso, si configura una presunzione legale che può essere smentita solo dietro la fornitura di una prova che attesti il contrario di quanto presunto.

Emerge, in questo contesto, l’onere della prova. Questo è un principio logico-argomentativo in base al quale chi intende dimostrare o smentire l’esistenza di un assunto o di un fatto o di una presunzione ha l’obbligo di fornire contestualmente le prove che supportino la propria tesi. In ambito tributario, si richiama l’art. 2697 del Codice civile, che dispone che:

Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

Il brocardo latino onus probandi incumbit ei qui dicit esprime e riassume bene l’onere della prova: quest’ultimo ricade su colui che invoca proprio un diritto oppure un fatto a sostegno della propria tesi. La legge 130/2022 introduce il comma 5-bis all’art. 7 del D. Lgs. 546/1992 (contenzioso tributario), infondendo maggior rigore per la determinazione del soggetto sul quale incombe l’onere della prova.

Da una parte, l’Amministrazione finanziaria, che nel processo impersona la parte di attore e creditore, deve provare l’an ed il quantum della propria pretesa erariale, così come le violazioni contestate. Dall’altra, l’onere ricade sul soggetto contribuente per giustificare le proprie richieste di rimborso.

Residenza fiscale per cittadini italiani

Infine, esclusivamente per i cittadini italiani l’art. 2 comma 2-bis prevede che siano considerati residenti i soggetti in possesso della cittadinanza italiana anche se cancellati dai registri anagrafici della popolazione residente e trasferiti altrove, sempre salvo che venga fornita una prova contraria.

Di fronte a quest’altra presunzione legale presente nella disposizione in analisi, riguardo l’onere della prova valgono le medesime argomentazioni esposte sopra.  

La base imponibile: tassazione worldwide

In linea generale, la base imponibile è il valore sul quale viene applicata l’aliquota fiscale per calcolare l’imposta da pagare nei rilievi tributari legalmente definiti. La base imponibile è la parte del reddito sul quale viene applicata l’imposta al netto di riduzioni e detrazioni.

Come si determina il reddito complessivo

In Italia, l’art. 3 comma 1 del TUIR dispone che l’imposta si applica al reddito complessivo del soggetto: si è dinnanzi ad una tassazione worldwide dell’individuo. Il reddito complessivo è determinato diversamente a seconda del proprio status

  • per i residenti, il reddito complessivo è formato da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili (indicati nell’art. 10 TUIR) (art. 3 c.1 TUIR); 
  • per i non-residenti invece, il reddito complessivo è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano (art. 3 c.1). 

L’art. 3 comma 2 del TUIR prevede una deroga a quanto disposto dal comma 1, in base alla quale l’imposta sui redditi elencati nell’art. 16 TUIR (salve le previsioni dei commi 2 e 3) si applica separatamente

I redditi esclusi

L’art. 3 comma 3 del TUIR elenca i redditi esclusi dal conteggio ai fini della determinazione della base imponibile. Nello specifico, vengono esclusi: 

  • i redditi esenti da imposta e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta oppure ad imposta sostitutiva; 
  • gli assegni periodici destinati al mantenimento dei figli spettanti al coniuge in conseguenza di separazione effettiva e legale oppure annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria; 
  • gli assegni familiari e l’assegno per il nucleo familiare nonché, alle medesime condizioni dei due precedenti, gli emolumenti per carichi di famiglia comunque denominati ed erogati secondo la legge; 
  • la maggioranza sociale dei trattamenti pensionistici (art. 1 L. 544/1988); 
  • le somme corrisposte a cittadini stranieri in forza di accordi e intese internazionali a titolo di borsa di studio dal Governo italiano. 

Come sono tassati i redditi prodotti all’estero

Per una panoramica completa sulla tassazione italiana per le persone fisiche, si rimanda all’approfondimento completo sugli elementi essenziali della tassazione in Italia.

I redditi prodotti da un soggetto all’estero non sono ignorati dall’ordinamento italiano e vengono considerati solo se concorrono alla formazione del reddito complessivo. A determinate condizioni, l’ordinamento tributario italiano potrebbe riconoscere il credito d’imposta. In via preliminare, è opportuno anticipare che l’istituto del credito d’imposta non sarà applicabile ai redditi assoggettati a ritenuta a titolo di: 

  • imposta; 
  • imposta sostitutiva; 
  • imposizione sostitutiva. 

A norma dell’art. 165 c.2 TUIR, i redditi prodotti all’estero sono considerati in base ai criteri reciproci a quelli previsti per individuare i redditi prodotti nel territorio italiano (art. 23 TUIR ad. es. redditi fondiari, redditi di capitale, royalties). Viene qui consacrato il principio di reciprocità.

Il credito d’imposta estera

Qualora un soggetto tenuto ad assolvere ai propri obblighi tributari in Italia abbia anche dei redditi all’estero che contribuiscono alla formazione di tutto il suo reddito, l’art. 165 comma 1 del TUIR prevede che le imposte pagate definitivamente all’estero sui redditi ivi prodotti sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta.

Però, vi è un limite: la detrazione si avrà fino alla concorrenza della quota d’imposta che corrisponde al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo, al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione. Volendo riassumere visivamente, la formula è:

(reddito estero × imposta netta dovuta) ÷ reddito complessivo al netto

Se i redditi sono prodotti in più Stati esteri, il comma 3 dell’art. 165 TUIR prevede che la detrazione venga applicata separatamente per ciascuno Stato. Questo consente al soggetto che possiede fonti di reddito sparse in varie nazioni di non perdere il beneficio della detrazione.  

Requisiti per ottenere il credito d’imposta

Riassumendo, affinché venga riconosciuto il credito d’imposta occorrono: 

  • il concorso del reddito estero alla formazione del reddito imponibile in Italia, 
  • la produzione di reddito estero; 
  • il pagamento definitivo delle imposte nello Stato (o negli Stati) dove il reddito estero è stato prodotto. Se le imposte sono state pagate provvisoriamente o a titolo di acconto, il credito d’imposta verrà attribuito nell’anno in cui il pagamento delle imposte diverrà definitivo;
  • l’assimilabilità della natura delle imposte estere sul reddito a quelle italiane (c.d. principio di reciprocità). 

Tuttavia, la detrazione non è sempre riconosciuta. In proposito, l’art. 165 comma 8 TUIR stabilisce che la detrazione non venga riconosciuta nei casi di: 

  • di omessa presentazione della dichiarazione; 
  • oppure di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata. 

Le due condizioni sopra elencate sono tra di loro alternative: di conseguenza, è sufficiente che una delle due si realizzi perché la detrazione venga negata.

Il calcolo della detrazione

La detrazione viene calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta a cui appartiene il reddito prodotto all’estero (art. 165 comma 4 del TUIR). Una è la condizione: che il pagamento definitivo dell’imposta all’estero avvenga prima della sua presentazione in Italia.  

Invece, se il pagamento definitivo avviene successivamente, si applica l’art. 165 c. 7 TUIR: in questo caso, si procede ad una nuova liquidazione, tenendo conto anche dell’eventuale maggior reddito estero. La detrazione riguarda l’imposta dovuta per il periodo d’imposta a cui si riferisce la dichiarazione.

Qualora il termine per l’accertamento fosse già decorso, la detrazione si limita alla quota dell’imposta estera proporzionale all’ammontare del reddito prodotto all’estero. 

Carry-back e Carry-forward

In aggiunta, per tutte le tipologie di reddito estero, l’art. 165 c. 5 prevede un’ulteriore possibilità di calcolo per la detrazione. Infatti, questa può essere calcolata a partire dall’imposta del periodo di competenza, anche se il pagamento definitivo avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al primo periodo d’imposta successivo.

Questa facoltà è esercitabile dietro indicazione (nella dichiarazione dei redditi) delle imposte estere detratte ancora non pagate definitivamente. 

Inoltre, sempre per tutte le tipologie di reddito estero, l’art. 165 c. 6 introduce la possibilità di riporto in avanti (cd. carry-forward) e riporto all’indietro (carry-back) per le eccedenze rimaste inutilizzate per un periodo, in entrambi i casi, di massimo otto anni. È possibile individuare due eccedenze:  

  • una è rappresentata dalla quota di imposta italiana relativa al reddito estero che eccede l’imposta estera (imposta italiana ˃ imposta estera); 
  • una dall’imposta estera che eccede la quota d’imposta italiana relativa al reddito estero (imposta estera ˃ imposta italiana). 

Residenza fiscale in Italia: obblighi ulteriori

Com’è stato rimarcato diffusamente nei paragrafi precedenti, la residenza fiscale in Italia (effettiva o presunta) comporta l’insorgere di diversi obblighi a norma del diritto tributario vigente nel Paese. È opportuno aggiungere che, tra gli altri menzionati nel testo, sorgono anche altri obblighi quali: 

  • l’obbligo di monitoraggio fiscale
  • il versamento dell’imposta sul valore degli immobili situati all’estero (IVIE); 
  • il versamento dell’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE)

Obbligo di monitoraggio fiscale

L’obbligo di monitoraggio e comunicazione dati dei trasferimenti da e verso l’estero è disciplinato a norma dell’art.1 del D.L. 167/1990 recante “Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”. Gli intermediari finanziari devono comunicare i dati analitici dei trasferimenti e delle operazioni da o verso l’estero di importo pari o superiore a €5.000, effettuate anche in valuta virtuale o in cripto-attività. 

IVIE: imposta sul valore degli immobili situati all’estero

Le persone fisiche residenti in Italia che possiedono immobili all’estero devono versare l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero (IVIE). L’imposta è disciplinata dalla L. 214/2011 ed è dovuta da: 

  • i proprietari di aree fabbricabili, fabbricati e terreni, compresi quelli strumentali per destinazione o per natura destinati ad attività d’impresa o di lavoro autonomo; 
  • i titolari dei diritti reali di usufrutto, uso o abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi; 
  • i concessionari, nel caso di concessione di aree demaniali; 
  • i locatari, per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria. 

L’imposta non si applica al possesso degli immobili adibiti ad abitazione principale, alle relative pertinenze, e alla casa coniugale assegnata legalmente al coniuge. Il requisito è che tali abitazioni non risultino classificate nelle categorie catastali A/1 (abitazione di tipo signorile), A/8 (abitazione in villa) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).  

Secondo le modifiche introdotte dall’ultima legge di bilancio (art. 1 c.91 lett. a) L. 213/2023), l’aliquota ordinaria dell’IVIE è 1,06%

IVAFE: imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero

Sempre a norma della L. 214/2011, le persone fisiche residenti in Italia devono versare un’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE) se all’estero detengono: 

  • prodotti finanziari; 
  • conti correnti; 
  • libretti di risparmio. 

L’art. 1 c. 91 lett. b) della L. 213/2023 prevede che l’imposta è stabilita nella misura del 4×1000 annuo per i prodotti finanziari detenuti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato o individuati dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 4 maggio 1999. Di conseguenza, per conti correnti e libretti di risparmio, l’imposta rimane ferma al 2×1000 annuo

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Riferimenti Normativi

Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) - D.P.R. 917/1986

Fonte

Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi - D.P.R. 600/1973

Fonte

Disposizioni sul processo tributario - D. Lgs. 546/1992

Fonte

Attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale - D. Lgs. 209/2023

Fonte

Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia

Fonte

Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente - L. 1228/1954

Fonte

Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente - D.P.R. 223/1989

Fonte

Ulteriori disposizioni per il sistema anagrafico - Art. 2 D.L. 179/2012

Fonte

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