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La responsabilità degli enti collettivi per la commissione di reati tributari

Secondo il sistema delineato dal D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

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Con l’art. 25-quinquiesdecies, aggiunto al D Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (c.d. “Decreto 231”) dall’art. 39, comma 2 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 (convertito, con modificazioni, nella L. 19 dicembre 2019, n. 157), il legislatore ha inserito i reati tributari tra gli illeciti-presupposto della responsabilità degli enti da reato mutuandone le fattispecie rilevanti dal D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Sfera di applicazione

La relativa sfera di applicazione è stata ampliata dall’art. 5, comma 1, lett. c), n. 1, D. Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 in recepimento della Direttiva UE n. 2017/1371 (c.d. Direttiva P.I.F.) recante norme per «la lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale».

Nell’attuale assetto dispositivo i reati presi in considerazione corrispondono, in dettaglio, a quelli collegati alla commissione dei delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti inesistenti (artt. 2, D.Lgs. n. 74/2000), dichiarazione fraudolente mediante altri artifici (art. 3), emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10), sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposte (art. 11), nonché – se commessi nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’Imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro – i delitti dichiarazione infedele (art. 4), omessa dichiarazione (art. 5) e indebita compensazione (art. 10-quater).

L’introduzione dell’art. 25-quinquiesdecies nel sistema del Decreto 231 rappresenta un intervento di grande rilievo poiché all’accertamento di uno dei ricordati illeciti può conseguire una risposta punitiva, anche particolarmente gravosa, nei confronti di tutte le società, a prescindere dalle loro dimensioni e dal settore economico di attività.

La responsabilità amministrativa dell’ente collettivo nel sistema del Decreto 231

Il Decreto. 231 definisce e regolamenta il perimetro della responsabilità degli enti con riguardo ad una famiglia di illeciti amministrativi dipendenti da reato (c.d. “reati presupposto”) commessi nel loro interesse o a loro vantaggio da parte di soggetti che rivestono posizioni di vertice (soggetti in posizione “apicale”), ovvero da persone gerarchicamente sottoposte alla loro direzione o vigilanza (soggetti “sottoposti all’altrui direzione” o “subalterni”).

L’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria resta comunque circoscritta all’ente collettivo che ne è destinatario escludendo, in linea di principio, una responsabilità economica diretta dei soci o degli associati indipendentemente dalla fisionomia giuridica dell’entità alla quale essi partecipano.*

*L’art. 7, D.L. 30 settembre 2003, n. 269 statuisce che «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica». Ne deriva, sul piano giuridico, una strutturale differenziazione tra le società a base capitalistica e le persone giuridiche, da una parte, destinatarie in via esclusiva della penalità amministrativa tributaria e, dall’altra parte, tutti gli altri enti collettivi (come, ad es., le società di persone) nei cui confronti il meccanismo di attribuzione della sanzione rimane ispirato al principio di personalità che si sostanzia in un regime di responsabilità solidale tra l’autore della violazione e l’ente collettivo non personificato per le somme dovute a titolo di sanzione, qualora gli illeciti siano stati commessi nell’interesse dell’ente medesimo.

Per quanto attiene più specificamente ai reati tributari, il regime sanzionatorio delineato dal Decreto 231 si aggiunge ma non si sostituisce a quella della persona fisica autore della condotta delittuosa, né alla sanzione amministrativa irrogata dal D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 all’ente in quanto soggetto passivo del rapporto giuridico di imposta.*

*L’art. 10 del D. Lgs. n. 231 del 2001 prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria da determinarsi sulla base di un procedimento di calcolo che si articola per quote in un numero che non deve mai essere inferiore a 100 e superiore a 1.000 fissando il valore monetario di una singola quota tra un minimo di euro 258 ed un massimo di euro 1.549. Nel caso dei reati tributari, il tetto massimo oscilla tra le 400 e le 500 quote secondo la natura della violazione.

Con la conseguenza che il fatto illecito riconducibile ad una delle fattispecie incriminatrici considerate dal novello art. 25-quinquiesdecies agisce su un duplice binario in quanto integra, da un lato, il reato ascrivibile all’individuo che lo ha materialmente commesso (fatto reato punito con sanzione penale) e, dall’altro lato, l’illecito amministrativo (punito con le sanzioni pecuniarie contemplate dal D. Lgs. n. 471/1997 e dal D. Lgs. n. 231/2001) che viene addebitato all’ente con il quale l’autore intratteneva al momento della sua consumazione un rapporto funzionale o di servizio.

L’impianto sanzionatorio amministrativo non contiene tuttavia alcun apprezzabile coordinamento tra le due discipline contemplate dal D.Lgs. n. 74 del 2000 e dal Decreto 231.*

*A seguito di tale riforma sono sorti in dottrina numerosi dubbi circa la violazione del principio del ne bis in idem (SANTORIELLO C., La nuova responsabilità delle società per i reati tributari, in Il Societario, 19.03.20 p. 6, GRASSO G., Responsabilità da reato tributario dell’ente e ne bis in idem: tra binari doppi e multipli alla luce del d.l. n. 124 del 2019, conv. in l. n. 157 del 2019 in Giurisprudenza penale, 2021/1-Bis, p. 2 e segg.).

Le sanzioni tributarie hanno infatti una portata già marcatamente punitiva, calibrata sulla gravità del fatto e pensata per costituire una reazione autonomamente adeguata agli illeciti considerati. Sicché, aggiungervi sic et simpliciter l’intero campionario delle disposizioni previste dal Decreto 231, come se si intervenisse in un settore non ancora presidiato da alcuna pena, si rivela una soluzione non del tutto equilibrata e suscettiva di generare futuri eccessi punitivi.

Inoltre, non si tiene conto della diversa prospettiva cui tende il settore degli illeciti tributari ispirata non solo ad una logica repressiva, ma anche ad una funzione di recupero dell’evasione fiscale mediante la previsione di strumenti premiali incentivanti l’adempimento spontaneo da parte dell’autore.

L’adozione del Modello di organizzazione, gestione e controllo

L’ente può esonerarsi da responsabilità o, quantomeno, conseguire una riduzione degli interventi afflittivo-sanzionatori attuando comportamenti, sia risarcitori, sia dimostrativi di una volontà di riorganizzazione della struttura operativa, con l’adozione di un Modello di organizzazione, gestione e controllo, o l’aggiornamento di quello precedentemente adottato, idoneo a prevenire le condotte rilevanti alla luce del già citato art. 25-quinquiesdecies da parte di soggetti inseriti nella propria struttura organizzativa od operativa.

Allo scopo, occorrerà dedicare una parte speciale del Modello nel quale, mediante un’adeguata metodologia di autovalutazione, dovranno essere opportunamente individuate e descritte le aree a rischio in relazione alle fattispecie criminose sopra richiamate.

Le funzioni organizzative da monitorare saranno, in apice, quelle dedicate alla rilevazione degli accadimenti gestionali nelle scritture contabili e nel bilancio (clienti, fornitori, istituti bancari, tesoreria), alla cura degli adempimenti dichiarativi (dichiarazione redditi, Iva, ecc.) ed ai rapporti con gli Uffici preposti all’amministrazione dell’entrate tributarie.

Nel descritto ambito, dovranno perciò essere oggetto di approfondita analisi i processi aziendali che presiedono all’approvvigionamento di beni e servizi, alla commercializzazione dei beni e servizi prodotti, alla gestione delle attività di vendita, alla gestione delle operazioni societarie (es. alienazione beni mobili/immobili al di fuori dell’attività caratteristica, operazioni straordinarie).

Occorrerà, quindi, introdurre precise regole di comportamento prodromiche ad un’accurata selezione dei clienti, dei fornitori e dei collaboratori in genere e facendo tassativo divieto, ad esempio, di emettere e/o contabilizzare documenti men che corrispondenti alla sottostante realtà giuridico-economica dell’operazione rappresentata, manipolare od occultare documenti aziendali per ostacolare i controlli da parte delle Autorità preposte, applicare le disposizioni fiscali in modo capzioso e immotivatamente contrario alle interpretazioni offerte in proposito dalla giurisprudenza, dalla dottrina e dalla prassi dell’Agenzia delle entrate.

Quindi, per ciascuna attività sensibile dovrà essere istituito un apposito protocollo applicativo individuando compiti, attribuzioni e responsabilità negli organi dirigenti e nelle figure apicali, coinvolgendo, se presenti, la società (o il soggetto) incaricato della revisione contabile ed il Collegio sindacale.

Presidi di controllo potrebbero essere individuati:

  • nella formazione di un’anagrafica clienti e fornitori completa e aggiornata;
  • nella pianificazione e svolgimento di verifiche sulla fisionomia e operatività dei fornitori e sulla loro effettiva consistenza giuridica e capacità economica;
  • nella definizione di procedure di pricing, di controllo sull’effettività delle prestazioni ricevute, sulla congruità degli importi esposti in fattura in rapporto al valore corrente di quanto oggetto di transazione, nella conformità degli importi addebitati alla sottostante documentazione contrattuale (conferme d’ordine, lettere di incarico, mandati, ecc.);
  • nella verifica delle operazioni societarie e della loro rispondenza al vero ed al reale con riguardo ai soggetti coinvolti ed ai giustificativi di supporto;
  • nella modalità e tenuta delle scritture contabili sotto il profilo della regolarità formale e nella verifica periodica sulla corretta tenuta delle scritture contabili;
  • nel controllo dell’operato dei consulenti esterni e nella previsione di meccanismi di periodica rotazione dei professionisti incaricati della redazione delle dichiarazioni fiscali.

Un ruolo chiave, infine, andrà riconosciuto all’Organismo di vigilanza e al Codice etico a tutela dell’adeguatezza, osservanza e aggiornamento del Modello e per la verifica del rispetto delle procedure operative esistenti sulle aree sensibili in ottica di prevenzione di possibili condotte delittuose anche nell’ambito della fiscalità.

Conclusioni

L’estensione ai reati tributari di maggior pericolo sociale operata con l’inserimento dell’art. 25-quinquiesdecies nel tessuto normativo del D. Lgs. n. 231 del 2000 può condurre, per quanto prima evidenziato, a gravissime conseguenze sanzionatorie nei confronti dell’impresa ove, in ossequio ai criteri di imputazione ivi stabiliti4, fosse ravvisata una sua responsabilità amministrativa.

Il Modello di organizzazione, gestione e controllo appare dunque uno strumento indispensabile a prevenire il rischio di commissione di un reato tributario. Inoltre nel caso di commissione dello stesso, se adottato e attuato prima della realizzazione del reato può – se ritenuto idoneo dal giudice penale – evitare l’applicazione delle gravi sanzioni amministrative ex D. lgs 231 a carico dell’Ente. Giova ricordare che anche l’adozione del Modello 231 dopo la avvenuta commissione del reato (cd. “MOG postumo”) appare assai importante in quanto può portare ad escludere le sanzioni interdittive a carico dell’ente e limitare le sanzioni pecuniarie irrogabili all’ente stesso.

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