I fatti della causa
La fattispecie riguarda un cittadino belga, residente in Belgio, che svolge le proprie mansioni in Lussemburgo. Il lavoratore frontaliero dipende dal regime lussemburghese per assegni familiari ricevuti anni, riguardanti minore affidato al nucleo. Nel 2017, tuttavia, la Cassa per il futuro dei minori di Lussemburgo ha revocato tali assegni, ritenendo che il versamento si debba limitare ai minori aventi un legame di filiazione diretto (legittimo, naturale o adottivo) con il lavoratore frontaliero.
I minori residenti in Lussemburgo affidati giudizialmente hanno diritto all’assegno, corrisposto al custode fisico o giuridico.
La questione
La Corte di Cassazione lussemburghese segnala possibile discriminazione indiretta derivante dalle norme del codice previdenza sociale nazionale. Esse, infatti, implicherebbero l’applicazione di condizioni di attribuzione diverse a seconda che il lavoratore sia residente o meno.
La Corte di Giustizia dell’Unione è invitata a interpretare l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011, in combinato disposto con l’articolo 67 del Regolamento (CE) n. 883/2004 e con l’articolo 60 del Regolamento (CE) n. 987/2009, nonché a stabilire se sussista una discriminazione indiretta, vietata dal principio della parità di trattamento dei lavoratori.
La sentenza della Corte
La Corte stabilisce che la normativa lussemburghese crea disparità di trattamento e risulta incompatibile con il diritto dell’Unione.
Infatti, la legge di uno Stato membro che impedisca al lavoratore non residente di percepire un vantaggio sociale per minori collocati in affidamento presso il proprio nucleo familiare, a differenza dei lavoratori residenti, configura una discriminazione indiretta, fondata sulla cittadinanza. La decisione è confermata poiché il lavoratore possiede domicilio legale e residenza effettiva continuativa presso il nucleo familiare.
Il fatto che l’affidamento provenga da un’autorità estera non modifica la conclusione della Corte sull’uguaglianza.
Come viene ricordato dalla corte, i lavoratori frontalieri contribuiscono al finanziamento delle politiche sociali dello Stato membro ospitante con i contributi fiscali e sociali che versano in tale Stato per l’attività subordinata che vi esercitano. Inoltre, devono godere di prestazioni familiari e vantaggi sociali e fiscali, come i lavoratori nazionali, senza discriminazioni.