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Residenza fiscale

L'aumento dei movimenti transfrontalieri di persone costituisce una sfida alla tradizionale chiave di volta delle regolamentazioni fiscali, erodendo progressivamente il modello di lavoro territoriale e statico su cui esse si sono sviluppate, in particolare dal punto di vista dell'identificazione della residenza fiscale delle persone fisiche e giuridiche, la cui disciplina è prevista dagli articoli 2,3, 23 e 73 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito (TUIR).

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L’aumento dei movimenti transfrontalieri di persone costituisce una sfida alla tradizionale chiave di volta delle regolamentazioni fiscali, erodendo progressivamente il modello di lavoro territoriale e statico su cui esse si sono sviluppate, in particolare dal punto di vista dell’identificazione della residenza fiscale delle persone fisiche e giuridiche, la cui disciplina è prevista dagli articoli 2,3, 23 e 73 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito (TUIR).

Legislazione italiana

L’articolo 3 del TUIR indica due diversi regimi a seconda che il contribuente sia un residente o un non residente:

  • i contribuenti residenti sono soggetti al c.d. worldwide taxation principle, secondo il quale tutti i redditi di qualsiasi tipo, indipendentemente dal luogo in cui sono prodotti, sono imponibili in Italia;
  • i redditi dei contribuenti non residenti, invece, secondo il principio di territorialità, sono imponibili solo nella misura in cui sono prodottnel territorio dello Stato (art. 3 TUIR).

È quindi fondamentale determinare se e a quali condizioni una persona (fisica o giuridica) possa essere considerata residente in Italia. Le relative definizioni sono stabilite dall‘articolo 2 TUIR (individui residenti e non residenti) recentemente modificato nel 2023 (in vigore dal 1 gennaio 2024) con Decreto Legislativo n. 209/2023 che introduce una nuova definizione di residenza fiscale più coerente con il quadro giuridico internazionale (cfr. sentenza n. 20041/2024).

La Circolare n. 20/E del 2024 dell’Agenzia delle Entrate ha quindi ritenuto necessario fornire un’interpretazione ufficiale della nuova definizione di residenza fiscale vincolante per i suoi uffici territoriali. 

Più specificamente, per quanto riguarda le persone fisiche, il legislatore italiano ha sostituito il precedente criterio (che era legato al Codice civile italiano) con uno più sostanziale (derivato dalle convenzioni e dalla prassi internazionali). Pertanto, per essere considerati residenti in Italia, è necessario soddisfare (almeno) una delle quattro condizioni seguenti:

  1. residenza fiscale nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 43 del Codice civile;
  2. domicilio ai sensi della definizione di cui allo stesso articolo 2, comma 2TUIR;
  3. il nuovo criterio della presenza fisica nello Stato; 
  4. registrazione presso il registro nazionale (ANPR), attribuendo così una presunzione confutabile all’elemento formale della registrazione

per la maggior parte del periodo fiscale, cioè per almeno 183 giorni (184 giorni negli anni bisestili), che in Italia coincide con l’anno solare. Per l’applicazione di queste disposizioni occorre osservare che rispetto al periodo di 183 o 184 giorni, non è necessario che i criteri di collegamento richiesti dalla norma ricorrano in modo continuativo ed ininterrotto, ma è sufficiente che si verifichino per 183 (o 184 in caso di anno bisestile) giorni nel corso di un anno solare. Più in dettaglio, 

  • domicilio (sopra, lett. a) identifica il luogo in cui sono incardinati i rapporti personali e familiari della persona. Mentre la prassi più risalente ha dedotto il concetto di domicilio dall’art. 43, comma 1 del Codice civile, il nuovo art. 2, comma 2 TUIR ha introdotto un concetto autonomo di domicilio, con riferimento specifico alla residenza fiscale (i.e. opera come lex specialis. Vedi in questo senso Cass. n. 26638/2017).

Nello stesso senso, la Circolare 20/E/2024 prevede che la nozione di domicilio non debba essere interpretata come un riferimento strettamente letterale e formale all’art. 43 c.c., ma piuttosto come un riferimento più ampiosostanzialea qualunque relazione formalmente riconosciuta (per esempio lo stato civile o l’unione di fatto) e le relazioni personali ugualmente caratterizzate da un carattere di stabilità connesso al territorio dello Stato (ad esempio nel caso delle coppie conviventi). Tenendo sempre a mente un parametro sostanzialistico piuttosto che formalistico, si ritiene che un nesso consolidato fra il contribuente e lo Stato possa essere dedotto aliunde, considerando nel loro complesso tutti quegli elementi che, ancorchè individualmente irrilevanti, concorrono a delineare in modo netto la sussistenza di un tale nesso (ad esempio l’appartenenza ad un club culturale o sportivo ovvero altre forme di stabile radicamento sociale). 

  • La registrazione presso l’ANPR. Nella versione precedente del l’articolo 2, comma 2 TUIR esisteva una presunzione assoluta relativa alla genuinità della registrazione presso il registro nazionale (ANPR) che non poteva essere confutata contestando l’assenza di dimora abituale o domicilio nel territorio dello Stato straniero, salvo i casi espressamente previsti dal diritto dei trattati internazionali (le cosiddette tie-breaker rules dettate da eventuali convenzioni contro la doppia imposizione in vigore tra l’Italia e il paese interessato); la disciplina attuale, invece, invertendo l’onere della prova, consente al contribuente di offrire prove controfattuali. Di conseguenza, le persone iscritte nel registro della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta continuano ad essere considerate residenti ai fini fiscali in Italia, a meno che non siano in grado di dimostrare che la registrazione presso l’ufficio del registro non corrisponde alla residenza effettiva nello Stato italiano (con riserva: come discusso di seguito, regole ad hoc si applicano alla residenza nei cosiddetti paradisi fiscali). 

A tal fine, i contribuenti devono fornire prove tangibili del fatto che per la maggior parte del periodo d’imposta non hanno avuto né la residenza, né il domicilio nel territorio dello Stato, né sono stati fisicamente presenti in Italia.

L’articolo 2, comma 2-bis prevede poi un regime peculiare nei confronti dei cittadini italiani che si cancellano dalle liste di residenti per trasferirsi in Stati tassati più favorevolmente individuati dal Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (4 maggio 1999). Questi sono presunti essere residenti fiscali in Italia pur potendo dimostrare il contrario (ex multis, Cass. n. 19843/2024). 

In seguito all‘epidemia da Covid-19, il ricorso a forme di lavoro quali il lavoro flessibile (o da remoto) è fortemente aumentato, in particolare nei settori che non richiedono la presenza fisica dei lavoratori sul luogo di lavoro per svolgere le proprie mansioni. Questa frattura tra l’ubicazione del lavoratore e il luogo in cui si svolgono le sue operazioni, si riverbera sensibilmente sul regime relativo alla giurisdizione fiscale: se il signor X dello Stato A opera nello Stato B dal suo domicilio nello Stato A, chi dovrebbe essere autorizzato a riscuotere imposte su di lui, lo Stato A o lo Stato B? 

Secondo le nuove regole, il soggiorno del lavoratore in Italia per 183 (o 184, in anni bisestili) giorni determina, di per sé, la residenza nel nostro Paese ai fini fiscali. Va notato che, nel caso in cui il lavoratore abbia stabilito la propria residenza fiscale sul territorio dello stato di cui è cittadino, esso dovrà assoggettare a tassazione italiana tutti i suoi redditi ovunque prodotti, e non solo quelli derivanti dalla propria attività lavorativa (si veda in proposito l’art. 3, comma 1 del TUIR). Ciò non pregiudica l’eventuale applicazione di disposizioni contenute nelle varie convenzioni contro la doppia imposizione concluse dall’Italia che prevedono una diversa ripartizione della potestà impositiva tra il nostro Paese e l’altro Stato contraente rispetto al reddito specifico prodotto dal contribuente.

Rispetto alla seconda categoria (coloro che lavorano in smart working dall’estero), è inteso che tali individui debbano essere considerati fiscalmente residenti in Italia – pur lavorando da remoto per una compagnia straniera – nel caso in cui siano fisicamente presenti per 183 giorni all’anno (184 in caso di anni bisestili), nel caso in cui soddisfino per la maggior parte del periodo d’imposta almeno uno degli altri tre criteri di collegamento di cui al novellato articolo 2, comma 2 TUIR, vale a dire a condizione che essi mantengano la propria residenza ovvero domicilio in Italia ovvero siano iscritti all’anagrafe della popolazione residente.

Come accennato in precedenza, la nuova legislazione interna deve comunque essere coordinata e conformata alla normativa sovranazionale, ed in particolare alle disposizioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dall’Italia con vari paesi esteri. Sebbene non sia possibile fornire una panoramica completa di ogni singolo trattato in materia, nel paragrafo successivo sarà illustrato il modello di convenzione fiscale dell’OCSE, facendo riferimento, se necessario, a specifiche convenzioni bilaterali.

Modello OCSE contro le doppie imposizioni

Per quanto riguarda le persone fisiche, l’articolo 4(1) OCSE MTC si limita a fare riferimento alla legislazione nazionale di ciascuno Stato contraente e, di conseguenza, non fornisce una definizione internazionale della residenza fiscale. Infatti, secondo la disposizione in esame: “ai fini della presente convenzione, il termine “residente di uno Stato contraente” si riferisce a qualsiasi persona che, in virtù delle leggi di tale Stato, è soggetta ad imposta in ragione del suo domicilio, residenza, luogo di gestione o qualsiasi altro criterio di analoga natura”. La prassi internazionale relativa all’articolo 4 afferma che la disposizione mira, da un lato, a definire il significato del termine “residente di uno Stato contraente” e, dall’altro, a risolvere i casi di doppia residenza.

Due sono i tipici casi di conflitto:

  1. conflitti tra due Stati di residenza
  2. conflitti tra Stato di residenza e Stato in cui è prodotto il reddito ovvero quello in cui si svolge il lavoro

In generale, le convenzioni volte ad evitare la doppia imposizione non fissano condizioni che le disposizioni nazionali sulla residenza devono soddisfare affinché possano essere accettate “rivendicazioni” di potestà impositiva tra gli Stati contraenti. In caso di conflitti, questi non possono essere risolti facendo riferimento al concetto di residenza adottato da ogni Stato contraente, pertanto devono essere stabilite disposizioni speciali nella Convenzione per determinare quale dei due concetti di residenza deve prevalere (cfr. Cass. Sentenza n. 2878/2024). 

Con specifico riferimento alle persone fisiche, la definizione di cui al paragrafo 1 dell’articolo 4 è intesa a “comprendere varie forme di vincolo personale ad uno Stato che, nelle leggi fiscali nazionali, costituiscono la base di una fiscalità globale”. 

Il successivo paragrafo 2 copre i casi in cui, ai sensi del paragrafo 1, un individuo sia considerato residente da entrambi gli Stati contraenti e prevede le cosiddette tie-breaker rules, stabilite per dirimere la controversia e stabilire la prevalenza del legame dell’individuo con uno Stato o l’altro: 

  1. residenza permanente 
  2. centro degli interessi vitali 
  3. residenza abituale 
  4. nazionalità del contribuente 

In particolare, tali criteri accordano una preferenza allo Stato contraente nel quale l’individuo abbia la disponibilità di un domicilio permanente, criterio che di solito dirime il caso.  Nel Commentario al Modello di Convenzione OCSE vengono quindi fornite delle specificazioni circa la nozione di permanenza e quella di dimora;

la prima fa riferimento ad “uso permanente” diverso da quei luoghi con caratteristiche tali da rendere evidente che il soggiorno sia necessariamente di breve durata, mentre il secondo si riferisce a qualsiasi forma di abitazione (vale a dire casa o appartamento anche in affitto dal singolo, ovvero stanza arredata et similia).

Tuttavia, qualora tale criterio risulti inidoneo al fine di determinare la residenza fiscale a fini convenzionali, come affermato dal Supremo Consesso nella sentenza n. 26638/2017 sarà necessario fare riferimento al secondo criterio, stante l’ordine gerarchico stabilito, del centro degli interessi vitali con riferimento alle relazioni economiche, sociali, morali ed affettive”. 

Se la residenza non può essere determinata neppure con riferimento a questa regola, sono previsti due criteri sussidiari: il primo sulla base della dimora abituale e il secondo della nazionalità. Nei casi più complessi, ad esempio quando un individuo è cittadino di entrambi gli Stati o ha un’altra nazionalità, secondo il Commentario, le autorità competenti hanno il dovere di risolvere tali controversie attraverso la procedura amichevole prevista dall’articolo 25 del Modello di Convenzione OCSE – anche nell’applicazione di tali criteri sussidiari si segue un ordine gerarchico.

Più specificamente, ogniqualvolta sia necessario ricorrere alle procedure amichevoli (MAP), previste dall’art. 25, le autorità competenti devono adoperarsi per risolvere il conflitto della doppia residenza attraverso un dialogo e una consultazione proficui. 

In ogni caso, entro tre anni (o entro il termine più breve di due anni individuato nella maggior parte delle convenzioni bilaterali concluse dall’Italia) dalla prima notifica della misura adottata da uno o entrambi gli Stati contraenti che comporterà una doppia imposizione basata su una doppia residenza, le autorità competenti dovrebbero cercare di raggiungere un accordo. Tuttavia, tali autorità sono in effetti obbligate a cercare una soluzione in modo equo e obiettivo, oltre che conformemente ai principi del diritto internazionale, ma non hanno alcun obbligo di risultato. È per questo che qualsiasi questione irrisolta deve essere chiarita ricorrendo alla procedura di arbitrato (secondo il paragrafo 5 dell’art. 25, introdotto nel 2018), se previsto dalle singole convenzioni bilaterali.

Una clausola spesso inserita nelle convenzioni bilaterali (ad esempio quelle tra l’Italia e, rispettivamente la Germania, la Svizzera e Panama) è la c.d. split year clause. In base a questo tipo di disposizioni, il periodo fiscale rilevante per l’attribuzione della residenza può essere suddiviso tra gli Stati concorrenti (cfr. Articolo 4(10) Convenzione OCSE, contenente una disposizione esplicita per la suddivisione dell’anno fiscale nei casi di doppia residenza se il domicilio è trasferito da uno Stato all’altro durante l’anno). Di conseguenza, ogni persona fisica che

abbia trasferito definitivamente il proprio domicilio da uno Stato contraente all’altro cessa di essere considerata residente del primo Stato Contraente dal giorno successivo a quello del trasferimento (in più occasioni la Corte di Cassazione ha invocato il Modello OCSE come parametro ermeneutico per risolvere l’incertezza interpretativa sulle norme bilaterali, cfr. ex multis Cass. Sentenza n. 20054/2024). 

Se non esiste un accordo stipulato tra gli Stati per evitare le doppie imposizioni, possono verificarsi due situazioni: 

a) il caso in cui, indipendentemente dall’inesistenza della disciplina giuridica internazionale, la legislazione interna di uno Stato preveda un’esenzione fiscale unilaterale per i contribuenti che possono dimostrare di aver pagato le imposte nell’altro Stato;

b) il caso in cui, in assenza sia di norme sovranazionali che di un’esenzione nazionale, il reddito sia soggetto a doppia imposizione.

Fonti normative

Autorità Fonte Numero Data Link
Italian Supreme Court Sentenza n. 26638/2017 26638 21/09/2017 Leggi di più
Italian Supreme Court Sentenza n. 19843/2024 19843 18/07/2024 Leggi di più
Italian Supreme Court Sentenza n. 2878/2024 2878 12/01/2024 Leggi di più
Italian Supreme Court Sentenza n. 20041/2024 20041 22/07/2024 Leggi di più
Italian Supreme Court Sentenza n. 20054/2024 20054 10/07/2024 Leggi di più
Agenzia delle Entrate Circolare n. 20/E/2024 20/E 04/11/2024 Leggi di più
Governo italiano Decreto legislativo n. 209/2023 209 27/12/2023 Leggi di più
Governo italiano TUIR 917 22/12/1986 Leggi di più

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