La risposta all’interpello numero 129 del 20 gennaio 2023, emanata dall’Agenzia delle Entrate, offre una spiegazione sulla tassazione dei pagamenti effettuati da una società cinematografica italiana a una partnership statunitense, interamente di proprietà di un regista di nazionalità americana, confermandone l’esclusiva tassazione negli Stati Uniti.
La risposta coinvolge due aspetti di rilievo:
- La natura “oggettiva” delle prestazioni svolte dai registi, e
- Le implicazioni del’ “interposizione” della partnership unipersonale.
Cosa stabilisce la normativa tributaria nazionale
In applicazione della normativa tributaria nazionale, trattandosi di una prestazione di carattere professionale resa in Italia da non residente (il regista, infatti, rimane un residente USA in virtù del mantenimento del proprio centro degli interessi vitali negli Stati Uniti), il compenso sarebbe soggetto alla ritenuta a titolo d’imposta del 30% prevista dall’art. 25 comma 2 del DPR 600/73.
Il trattato Italia USA contro le doppie imposizioni
Una volta analizzata la disciplina nazionale, la risposta pone l’attenzione alle previsioni contenute nella Convenzione Italia Stati Uniti essendo pacificamente riconosciuto, nell’ordinamento italiano all’articolo 169 del T.U.I.R. e in ambito tributario all’articolo 75 del D.P.R. 600/73, il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno.
L’Agenzia sottolinea che le prestazioni sono soggette a imposizione fiscale esclusivamente nello Stato di residenza del professionista (negli Stati Uniti, nel caso specifico) a condizione che non vi sia una base fissa del professionista nell’altro Stato (circostanza che nel caso specifico non si verificava).
Si può quindi dedurre, dalla risposta fornita dall’Agenzia, che la prestazione resa dal registra ricade quindi nell’ambito applicativo dell’Art. 14 “Professioni indipendenti” e non nell’ambito applicativo dell’Art. 17 “Artisti e sportivi” del medesimo Trattato il quale, proprio in deroga all’Art. 14, riconosce allo Stato in cui sono eseguite le prestazioni (nel caso concreto, Italia) il diritto di esercitare il proprio potere impositivo anche in difetto di una base fissa.
Difatti, il Commentario all’art. 17 del modello OCSE, definisce come “artisti” ai fini delle Convenzioni le persone che hanno una presenza diretta riconoscibile al pubblico (per quanto riguarda la cinematografia, in sostanza gli attori), e non invece le persone che rimangono “dietro le quinte”, come per l’appunto i registi.
La determinante della partnership estera
Un ulteriore elemento di rilevanza, emerso dalla risposta numero 129/2023, riguarda la presenza della partnership estera a cui vengono effettivamente pagate le somme dalla società di distribuzione italiana.
Nel caso concreto, difatti, il regista, fiscalmente residente negli Stati Uniti d’America, svolgerebbe la sua attività in Italia per conto di una società americana, fiscalmente assimilabile alle società di persone di diritto italiano di cui è unico socio, ed il cui oggetto sociale consiste proprio nella prestazione dei servizi del regista.
Nel contesto dei rapporti con gli Stati Uniti, la soluzione è più “semplice”, poiché la Convenzione stipulata con l’Italia stabilisce espressamente che la società di persone è considerata “residente”, ai fini del trattato, nella misura in cui il reddito derivante da fonti estere sia sottoposto a imposizione a carico della società stessa o dei suoi soci in regime di trasparenza.
Applicabilità del trattato Italia USA contro la doppia tassazione
Di conseguenza, il contribuente soggetto all’imposizione gode del diritto a beneficiare delle disposizioni della Convenzione, consentendo in questo caso di evitare la tassazione italiana.
Ciò assicura che, anche ove la società di persone estera sia trattata, nel proprio Stato di residenza, quale un soggetto trasparente, sono i soci (nella fattispecie, il regista) ad essere titolati a beneficiare del Trattato.