Il Commentario OCSE al modello di convenzioni contro le doppie imposizioni non ha valore normativo, ma costituisce solo una raccomandazione diretta ai Paesi aderenti. In ossequio a questo principio, già espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 6242 del 2020, la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un contribuente, il quale chiedeva l’applicazione diretta del Commentario OCSE, in quanto “fonte del diritto internazionale”. Nel caso di specie, la Cassazione ricorda, invece, che il Commentario ha esclusivamente natura di “soft law” e, pertanto, non è vincolante.
Residenza fiscale internazionale e mancanza di conflitto
Ulteriore concetto viene poi espresso dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 25690 del 2023 e riguarda l’effettiva mancanza di conflitto di residenza fiscale internazionale, tale da convocare il paragrafo 2 dell’art. 4 della Convenzione siglata tra i due Stati Membri.
Al riguardo giova evidenziare che l’art. 4 del Modello di Convenzione OCSE, cui i trattati conclusi dall’Italia generalmente si conformano, dopo aver rinviato alla legislazione interna degli Stati contraenti per la definizione di residenza rilevante ai fini della delimitazione dell’ambito di applicazione soggettivo della Convenzione (paragrafo 1), prevede al paragrafo 2 una serie di criteri di collegamento (c.d. tie breaker rules), da applicarsi in via successiva, delegati a determinare, nell’ipotesi di conflitti di doppia residenza derivante dal concorso delle normative interne degli Stati contraenti, quale di tali Stati debba essere preferito nel considerare residente il contribuente.
Ordinamento italiano sulla determinazione della residenza fiscale
I criteri di determinazione della residenza fiscale ai fini dell’ordinamento tributario italiano sono positivizzati nell’art. 2, comma 2, del Tuir, i quali poggiano sopra tre requisiti oggettivi, alternativamente considerati, che devono sussistere per la maggior parte del periodo di imposta.
La necessità che i requisiti oggettivi – l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, il domicilio e la residenza ai sensi del Codice civile – sussistano per la prevalenza del periodo d’imposta esprime la dimensione temporale della residenza fiscale.
L’ordinamento tributario italiano non riconosce il frazionamento del periodo d’imposta o il concetto di residenza “parziale”
Come noto di fatti, il frazionamento del periodo d’imposta e la nozione di residenza “parziale” rimangono dei concetti estranei all’ordinamento tributario italiano in quanto le disposizioni interne, parametrano la stessa all’intero periodo di imposta, non esistendo una norma “procedurale” che regoli i casi di acquisto o di perdita della residenza in corso d’anno.
Pertanto, nell’ipotesi di doppia residenza di un soggetto, anche le norme c.d. tie break rules, contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, tese a risolvere questi conflitti, fanno riferimento anch’esse all’intero anno d’imposta e non possano trovare applicazione laddove fenomeni di doppia residenza riguardino solo una frazione d’anno, come nel caso di specie.
Eccezione in caso di convenzioni
Unica eccezione a tale interpretazione può individuarsi nell’ipotesi in cui sussista, all’interno delle Convenzioni, l’ulteriore disposizione definita split year clause. Tale norma, presente ad esempio nella Convenzione dell’Italia con la Germania e in quella con la Svizzera stabilisce espressamente che il periodo di imposta possa essere frazionato.